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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

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Fasc.4
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0340

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MISCELLANEA

femminili pur essendo di cosi somigliante bellezza;
quelli invece che videro nel quadro un mito e in ispe-
cie quello di Venere e Medea furono trascinati a scor-
gere Medea nella figura vestita, dal cofanetto che essa
tiene sotto il braccio sinistro e dalle erbe, chiamia-
mole per ora così, che ha nella destra. Tutti però
hanno trascurato di mettere le figure del bassorilievo
che adorna la vasca in rapporto col significato del
quadro.

Eppure esso, anche a prima vista, non appare come
una copia per la insolita distribuzione dei pieni e dei
vuoti, dei piani, del chiaroscuro e per quel curioso
drappo svolazzante sopra il cavallo. Che l’autore abbia
accozzato a capriccio o a caso delle figure, non è lo-
gico credere, dal momento che esse sono raggruppate
in scene, se non chiare di significato, evidenti di com-
posizione.

Su questo bassorilievo ho appunto rivolto la mia
attenzione e spero di non illudermi nel credere di
aver dato un significato soddisfacente a ciascuna delle
figure e a tutto il quadro in genere. Secondo me, in
questa pittura è raffigurato il mito che rappresenta la
più bella delle Dee a colloquio con la più bella delle
donne: il mito di Venere che persuade Elena ad ab-
bandonare Menelao per seguile, con tutti i suoi tesori,
il suo protetto Paride.

Già il Wickhofif nel suo articolo (pag. 42) partendo
dal concetto fondamentale che la figura ignuda per
molti caratteri non possa rappresentare altro che Ve-
nere, nell’enumerazione delle donne con cui la dea
può aver avuto un colloquio cita per prima Elena,
che dice madre di tutte le altre; ma è un accenno fu-
gace poiché passa oltre e si ferma a Medea, con la
convinzione sicura di trovare nel suo mito la spiega-
zione del dipinto.

Prima però di cominciare la dimostrazione positiva
della mia interpretazione, mi conviene almeno accen-
nare alle ragioni che mi hanno indotto a non seguire
- le altre.

Contro tutte quelle simboliche, per me, sta il fatto,
che per rappresentare le due Bellezze a contrasto non
era necessario introdurre fra esse l’Amorino alato; ed
esso era pure inutile nel caso che le due donne rap-
presentassero due diversi amori, perchè allora ce ne
sarebbero tre.

Di più per analogia col resto dell’iconografia Ti-
zianesca è troppo evidente che quella donna ignuda,
seguita dall’Amorino, è Venere.

Contro poi l’interpretazione di Medea c’è da os-
servare che essa non è troppo esattamente caratteriz-
zata, perchè, se il cofanetto può essere la cassetta
delle droghe magiche, quel mazzolino, che tiene nella
destra, non è di erbe malefiche, ma di fiori rossi e
turchini, e la sua età, la sua persona e il suo abbi-
gliamento s’addice meglio ad una sposa che a una
fanciulla.

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Contro poi tutte le spiegazioni in genere, date finora
sta l’argomento principale, che non si addicono alle
figure del bassorilievo.

Ora vediamo se il mito di Elena riesce a interpre-
tare meglio il misterioso quadro.

Questo mito quale è svolto nell’opera di Tiziano,
si trova illustrato nel terzo libro àe\V Iliade e nel sesto
de\VEneide, fonti, come si vede, non molto recondite;
sebbene io creda però che Tiziano o più probabilmente
il committente della pittura, non siano ricorsi diretta-
mente alle fonti come farebbe un archeologo moderno
col Roscher alla mano, ma si saranno accontentati del
racconto offerto da un manuale qualunque di istorie
mitologiche.

Venere nella gara di bellezza sostenuta con le due
rivali, promise a Paride, se riusciva vincitrice, di fargli
sposare la più bella delle donne e, ottenuta la vittoria,
mantenne la promessa.

Mentre Paride si trovava a Sparta, ospite di Me-
nelao e questi era assente, indusse Elena a seguire il
figlio di Priamo portando con sè i suoi tesori. '

La seduzione di Elena da parte di Venere è nar-
rata nel terzo libro dell’Ilìade (v. 395-405) là, dove la
Dea sotto forme umane prega Elena a recarsi presso
il suo Paride dopo Ch’Ella l’ebbe salvato dal duello.
Ecco la versione non troppo letterale del Monti. Elena
quando

Riconobbe la Dea coglier sentissi
Di sacro orrore e ritrovate alfine
Le parole sciamò: Trista! e che sono
Queste malizie? Ad alcun’altra forse
Di Meonia o di Frigia alta cittade
Vuoi tu condurmi affascinata in braccio
D’alcun altro tuo caro?

(Monti, II., Ili, 524 e seg.).

Il nostro quadro rappresenterebbe appunto Venere
nel momento che ha finito il suo affascinante colloquio
e con occhio ansioso spia quale effetto faccia sul cuore
della bella Elena. Questa sta con l’orecchio teso alle
parole di Venere, ma con lo sguardo fisso davanti a
sè, come chi ascolta un discorso compromettente o
di difficile risposta; la sua espressione lascia con tutta
chiarezza intravedere la perplessità dell’animo.

Per l’identificazione di Venere nella figura ignuda
stanno tutte le ragioni già addotte dal Wickhofif : la
nudità, la lampada, il manto rosso e l’Amorino. Io ag-
giungerò che l’Amorino invece d’essere accanto a sua
madre è vicino ad Elena e sta, serio, serio, diguaz-
zando la mano nell’acqua della vasca. Certo il pittore
volle indicare con ciò una relazione fra le due figure,
ma non è molto evidente ; forse Amore, che qui non 1

1 Nel terzo libro de\V Iliade (v. 69 e seg.; 90 e seg.) quando Pa-
ride accetta il duello con Menelao rammenta egli stesso i tesori:

E me nel mezzo e Menelao mettete
D’ Elena, armati, a terminar la lite
E di tutto il tesor di ch’Ella è carca.

(Monti, //., Ili, 88),
 
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