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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

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Fasc. 5
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https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0434

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392

BIBLIOGRAFIA

illustrarla, esaminandola partitamente con amorevole
intelligenza in alcune pagine, che meritano di essere
particolarmente gustate per la finezza del sentimento
, (pag. 110-115).

Dalla descrizione dell’accennato capolavoro trascor-
rendo ai disegni, — pochi, ma buoni — c’è da mera-
vigliarsi non abbia trovato menzione nel suo libro
certo studio della grande raccolta del Louvre, rap-
presentante la figura di San Giovanni quale apparisce
nel quadro di Pistoia; studio che accusa cerlamente
la mano dell’allievo Lorenzo di Credi anziché quella
del maestro, ma che concorre quindi a rinforzare l’opi-
nione espressa dal nostro critico, che la figura cor-
rispondente nel quadro sia essenzialmente opera di
Lorenzo.

Rammenta invece, con annesso facsimile, la nota
testa d’angelo a matita nera, degli Uffizi, generalmente
ammessa quale fattura del Verrocchio, mentre lo scri-
vente propenderebbe a credere fosse da aggiudicare
a quel Francesco Botticini, suo seguace, massime in
considerazione di quel certo modo artificiale d’inanel-
lare i capelli, del quale il maestro non sembra altri-
menti essersi reso colpevole.

Vorremmo rilevare in proposito l’affinità di que-
sta testa con taluna del quadro dei Tre Arcangeli,
dell’Accademia di Firenze. Per questo l’A. si pronun-
cia pure in favore del Botticini, contrariamente al parere
del dott. Bode, che lo vorrebbe del Verrocchio, e lo
proclama il più bel quadro del Quattrocento fiorentino.

Non senza sorpresa poi rilevammo il nostro critico
essersi schierato dalla parte di Bernardo Berenson ac-
cogliendo nel novero delle opere del suo artista la
tavola Ae\V Annunciazione degli Uffizi, da altri creduta
di Leonardo, — quale la ritenne pel primo, già più di
40 anni or sono, l’erudito conoscitore, il barone Carlo de
Liphart. — « Il catalogo degli Uffizi, osserva il Reymond,
e la generalità degli scrittori attribuiscono questa opera
a Leonardo. A me pare più logico attribuirla al Ver-
rocchio, come il signor Berenson pel primo ha pro-
posto di fare». E si accinge quindi a prendere in
esame l’opera partitamente, per indicare gli argomenti
a sostegno dell’assunto. Questi forse non riesciranno
a persuadere i nuovi San Tommasi della critica, i
quali non sanno arrendersi se non alle prove dei do-
cumenti scritti. La logica del nostro autore tuttavia
non sembra da condannare, e quando si tenga conto
dei tratti caratteristici delle altre opere del Verrocchio,
per quanto scarse, che si hanno per accertate, cre-
diamo non siano senz’ altro da respingere le conclu-
sioni sue. E in vero il quadro singolare, troppo spic-
catamente quattrocentistico per poter essere aggiu-
dicato a Ridolfo del Ghirlandaio, come pensava il
Morelli, — acerbo parimenti per un maestro della
forma, quale Lionardo fino da’ suoi primordi, ver-
rebbe forse quasi per via di esclusione a ricondurci
al maestro di lui.

Del resto la parte più spirituale nella illustrazione
dell’opera sta nel confronto che istituisce l’A. fra il
modo essenzialmente realistico di concepire il sog-
getto, a petto di quello mistico, quale era stato inteso
nella prima metà del secolo, nelle rappresentazioni
di un Angelico, di un Fra Filippo.

Egli dedica quindi un capitolo alle altre Madonne,
di diverse raccolte, rivelanti caratteri più o meno con-
soni a quelli del Verrocchio. Che non possa accet-
tare per sua quella assegnatagli dal catalogo della
galleria di Berlino, si spiegherebbe ovviamente, quando
anco non l’avesse veduta se non nelle riproduzioni
fotografiche, da che la medesima si manifesta quale
negazione di quel sentimento del bello che l’A. viene
segnalando come una qualità peculiare del suo artista.
Quella della pinacoteca di Monaco, data quivi senza
ambagi a Lionardo da Vinci, stiamo per credere non
l’abbia veduta nell’originale, — perchè se ne avesse
constatato la tecnica miserevole, si sarebbe vie più
confermato nel sospetto, trattarsi di una copia dura
e stentata da ut» pensiero verrocchiesco.

A ragione poi ammette che il suo campione, artista
in tutta l’estensione del termine, avesse avuto ad eser-
citarsi altresì nella pratica dei ritratti. Dopo avere
rammentato quello, oggi non altrimenti conosciuto, di
Lucrezia Donati, amante di Lorenzo il Magnifico, ma
attestato dall’inventario compilato dopo la morte del
Verrocchio dal suo fratello Tommaso, 1 accenna di
volo due effigi femminili, come possibili opere sue.
Sono, quella di giovane donna, vista di faccia, nella
galleria del principe Liechtenstein, da altri ritenuta
di Leonardo, e il ben noto squisito profilo del Mu-
seo Poldi-Pezzoli, già attribuito a Pier della France-
sca. Questi due dipinti a dir vero ci sembrano assai
dissimili fra loro come fattura; poiché, mentre nel
primo ravvisiamo bensì la tecnica nitida e levigata
che dal Verrocchio fu trasmessa a Lorenzo di Credi,
lo stesso non si saprebbe dire del secondo, nel quale
vorremmo scorgere piuttosto un fare che ci riporta
alle pratiche di un pittore quale Antonio del Poliamolo.

Prendendo a considerare il nostro storiografo da
ultimo la discendenza artistica di Andrea Verrocchio,
rileva il fatto, abbastanza strano, che la sua scuola si
sia esplicata più estesamente nel campo dei pittori,
che non in quello degli scultori, come che a questo
ultimo egli stesso appartenesse in modo più spiccato
di sua natura. Che il suo più bel titolo di gloria con-
sista nell’essere stato il vero maestro di un genio uni-
versale quale Leonardo nessuno vorrà contradirlo ;
che per mezzo delle generazioni seguenti la sua in-
fluenza si fosse estesa non solo sul Correggio e su
Giorgione, ma sul Rubens e su Rembrandt altresì, come
accenna nel suo entusiasmo l’egregio critico, non si

1 Vedasi l’articolo del dott. Corn. de Fabriczy: Andrea Ver-
rocchio al servizio dei Medici, in Archivio storico dell’ arte, 1895.
 
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