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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 24.1921

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Fasc. 4
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Venturi, Adolfo: Un' opera di Duccio di Boninsegna a Copenaghen e una di Simone Martini a Vienna
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https://doi.org/10.11588/diglit.17341#0229

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UN'OPERA DI DUCCIO DI BONINSEGNA E UNA DI SIMONE MARTINI 201

porzioni atta ad avvalorare la contenuta flessuosità delle archeggiatile, lontane degli
clastici slanci del gotico, che in Siena aveva portato la linea all'esasperazione del movi-
mento, alla creazione del dramma, con l'opera di Giovanni Pisano; snellezza nuova,
ancor partecipe dell'abbandonata cadenza orientale.

Stampata sul fondo, la stoffa cupa della veste, che chiude in rigida guaina le forme
sottili, s'incanala tra due fioriti argini: gli orli del manto costellati di gemme. L'imper-
cettibile sinuosità dell'orlo gemmato, sulla destra, dov'è teso dalla spalla sollevata, trova
eco melodica nella trattenuta sinuosità della palma, che lambe con tanta lentezza di
curva la cornici- dell'ancona. E la mite inclinazione del capo, la grazia delle molli onde
di chioma, dànno alla regale immagine, scorta d'onore alla Vergine nel centro del polit-
tico, petrarchesca grazia d'aspetti.

Lippo Menimi non conobbe così melodiosa rispondenza di linee, nò così regale fasto
di colori, nelle sue opere, attraenti per agilità di contorni e per gaiezza di tinte: la dorata
gamma del grande affresco di Simone nel Palazzo Pubblico di Siena, si converte, nell'af-
fresco affine di San (iimignano. in un festevole accordo di tinti', dove si ripetono eji
squilli del verde e dell'arancio. La vellutata superficie delle carni che, nella tavoletta
Liechtenstein, dal substrati' verde passano ai toni caldi del biondo e di un soffocato
rosso sulle guance, e sembrano quasi animarsi ai riflessi aurei del fondo e dell'aureola, è
la stessa che si vede nei formosi angeli della Maestà di Siena, nelle Sante drappeggiate
di regali stoffe tra i finti intercolunni della smembrata pala di Pi^a. E la calda intona-
zione rievoca l'ineffabile gamma di ori che si leva dall'anconetta (già m ila Galleria Cor-
sini, ora a Palazzo Venezia), dove la Vergine presenta al popolo il fanciullo, sontuoso fiore
di serra nell'ammanto delle tele d'oro.

Come in tutte le opere di Simone Martini, la sua perizia di orafo senese si rivela
nella composizione degli ornati del nimbo, delle orlature, dei pennacchi d'arco; nella
ricchezza di gemme profuse all'abbigliamento della malinconica Santa regina, al suo
diadema, alla zona d'oro del manto, che ancora racchiude perle, rubini e zaffiri, simulati
in cera, e caduti quasi interamente dagli alveoli delle crocette, delle stelle, dei fiori tra-
punti nell'ampia aureola. Mentre gli ornati di Lippo Menimi, nel minuto frastaglio e nella
più sommaria fattura, richiamano fioriture di ricami su stoffe, questi di Simone sono la-
vori di orafo e di raffinato musaicista.

E tipiche del grande Senese sono anche le tinte delle stoffe: il viola cupo dalla veste
e il verde cupo del manto, che accentuano, per la loro intonazione profonda, lo sfavillio,
il riso delle gemme sparse nelle dorate zone.

Fra la pala del Museo di Pisa, dove le forme prendono gotica affilatezza, e il dossale
già esposto ad Orvieto, dove sulle teste chine dei santi s'appuntano trilobe arcate go-
tiche — e dunque al principio del terzo decennio del Trecento — collocheremo la preziosa
tavoletta, di recente comparsa, nella pinacoteca del principe Liechtenstein, a spiegare,
fra altri tesori italiani, lo splendore dell'arte antica di Siena al tempo di Dante e di Giotto.

Adolfo Venturi.

L'Art*. xxiv, 26.
 
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