ADOLFO VENTURI
140
Città di Castello. L’ancona fu condotta a termine in meno d’un anno dai due soci, e il
13 settembre 1501 Raffaello e Evangelista di Piandimeleto ricevettero trentatre ducati
d’oro a saldo del loro avere. La tavola d’altare rimase al suo posto in Sant’Agostino di
Città di Castello sino al 1789, anno in cui la chiesa rovinò per terremoto e il quadro, rimasto
malconcio, fu poi nel 1791 venduto a Pio VI, diviso in molte parti, le quali, sino al tempo
dell’invasione francese, secondo il Passavant, stettero nel palazzo vaticano, di dove sparirono
in quei torbidi giorni. A Città di Castello, nella chiesa rinnovata di Sant’Agostino, rimase
una copia, certo non troppo fedele, eseguita da Ermenegildo Costantini prima della vendita
del dipinto a Pio VI; e la copia stessa ora si vede nella Pinacoteca civica di Città di Castello.
Fìg. 1 — Pala d’altare attribuita a Giovanni Santi.
Museo Nazionale di Budapest.
La composizione del quadro, come si può arguire dalla copia, si attiene alle forme di
Giovanni Santi. In un altro dipinto il padre di Raffaello aveva fatto due angioli assistenti
la divinità come si vede in questa pittura : mi riferisco al dipinto nella cappella degli Oliva
del convento di Monte Fiorentino. L’angiolo a sinistra, può ricordare visto di profilo con la
gran chioma fluente, quello di Giovanni Santi a Brera, nell’Annunciazione.
Insomma, anche dalla copia qualche carattere dell’arte del padre di Raffaello si può
riconoscere. E quei caratteri si possono far derivare ragionevolmente da Evangelista di
Piandimeleto. Sin dal 1483 questi stava nello studio di Giovanni Santi, come famulus
del pittore; nel 1487, insieme con l’insigne scultore Ambrogio da Milano, fu testimone
all’atto dell’ultima volontà del suo maestro; nel 1494 rinnovando Giovanni Santi, giunto al
termine della vita, il suo testamento, nominò esecutore testamentario lo stesso Evangelista
di Piandimeleto suo discepolo.
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Città di Castello. L’ancona fu condotta a termine in meno d’un anno dai due soci, e il
13 settembre 1501 Raffaello e Evangelista di Piandimeleto ricevettero trentatre ducati
d’oro a saldo del loro avere. La tavola d’altare rimase al suo posto in Sant’Agostino di
Città di Castello sino al 1789, anno in cui la chiesa rovinò per terremoto e il quadro, rimasto
malconcio, fu poi nel 1791 venduto a Pio VI, diviso in molte parti, le quali, sino al tempo
dell’invasione francese, secondo il Passavant, stettero nel palazzo vaticano, di dove sparirono
in quei torbidi giorni. A Città di Castello, nella chiesa rinnovata di Sant’Agostino, rimase
una copia, certo non troppo fedele, eseguita da Ermenegildo Costantini prima della vendita
del dipinto a Pio VI; e la copia stessa ora si vede nella Pinacoteca civica di Città di Castello.
Fìg. 1 — Pala d’altare attribuita a Giovanni Santi.
Museo Nazionale di Budapest.
La composizione del quadro, come si può arguire dalla copia, si attiene alle forme di
Giovanni Santi. In un altro dipinto il padre di Raffaello aveva fatto due angioli assistenti
la divinità come si vede in questa pittura : mi riferisco al dipinto nella cappella degli Oliva
del convento di Monte Fiorentino. L’angiolo a sinistra, può ricordare visto di profilo con la
gran chioma fluente, quello di Giovanni Santi a Brera, nell’Annunciazione.
Insomma, anche dalla copia qualche carattere dell’arte del padre di Raffaello si può
riconoscere. E quei caratteri si possono far derivare ragionevolmente da Evangelista di
Piandimeleto. Sin dal 1483 questi stava nello studio di Giovanni Santi, come famulus
del pittore; nel 1487, insieme con l’insigne scultore Ambrogio da Milano, fu testimone
all’atto dell’ultima volontà del suo maestro; nel 1494 rinnovando Giovanni Santi, giunto al
termine della vita, il suo testamento, nominò esecutore testamentario lo stesso Evangelista
di Piandimeleto suo discepolo.