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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 14.1911

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Fasc. 4
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Cronaca
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https://doi.org/10.11588/diglit.24138#0340

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CRONACA

L’esposizione Ingres. — Durante parecchie setti-
mane, una folla, ove dominavano squisite donne della
società artisticamente vestite, s’è accalcata nelle Gal-
lerie di Giorgio Petit. La natura e l’arte hanno riva-
leggiato di bellezza. Nè l’una nè l’altra è stata vinta
poiché Ingres, il grande idealista, il gran prete del
divino Raffaello, fu innanzi tutto, come il suo mae-
stro e suo Dio, un prodigioso realista.

Non ci soffermiamo: avremo già troppi capolavori
da passare sotto silenzio, per evitare di dilungarci senza
misura. Come guida prendiamo il catalogo di questa
ésposizione organizzata a profitto del Museo Ingres
di Montauban e la grande opera del sig. Henry La-
pauze: Ingres, la sua vita e la sua opera (Parigi,
Giorgio Petit, 1911), che per le serie ricerche di cui è
il risultato e per i numerosi documenti inediti che
racchiude costituisce finora e senza dubbio per lungo
tempo, l’ultima parola intorno al soggetto.

Gian Domenico Ingres mostrò una precocità di cui
la più parte dei grandi geni nel dominio dell’arte fu
dotata e che più di un dotto storico d’arte crede do-
vere rifiutare, non so perché, a Raffaello. Ingres, nato
nel 1780, eseguì nel 1789, dall’antico, due disegni dei
quali qualche accademico del suo tempo non avrebbe
raggiunto, come copista, nè la giustezza nè la morbi-
dità. A dieciassette anni dipingeva da se stesso un ri-
tratto notevole. A dieciannove anni otteneva il secondo
gran premio e a venti anni il primo gran premio per
la scuola francese di Roma.

Cosa sorprendente, non avendo permesso le circo-
stanze politiche l’invio degli allievi in Italia prima
del 1806, a Parigi egli dipinse, nel momento che stava
per partire per Roma, il ritratto di uno dei suoi ca-
merati, il giovane scultore L. Bartolini. Egli non ha
mai fatto di meglio e non si può guari andare più in
alto. Questo capolavoro che appartiene al sig. Drake
del Castillo, non è stato esposto. Per consolarci, am-
miriamone altri quasi altrettanto stupefacenti: il ri-
tratto di suo padre (n. 3, del Museo Ingres) il ritratto
a mezzo busto del sig. Belvèze Foulon (n. 5 dello stesso
museo) ; quello dell’incisore Desmarais (11. 7 apparte-
nente al sig. M. Deiacre); quello del sig. Gilibert non

terminato, ciò che è tanto meglio perchè ci mostra la
sicurezza e l’ardire del primo getto di Ingres, il quale
raffreddava talvolta la sua opera nel corso dell’esecu-
zione a forza di volerla perfetta ; quello dell’architetto
Dédeban (n. 13, del Museo di Besancon) d’una tona-
lità estremamente fine.

Con queste opere, tutte anteriori alla sua partenza
per l’Italia egli aveva già dato la sua piena misura,
almeno in questo genere.

L’Italia aveva purtuttavia qualche cosa da inse-
gnargli. Essa gli mostrò la via per le grandi compo-
sizioni. Sotto questa novella disciplina, se egli con-
tinua a restare impeccabile nell’invenzione e nella
esecuzione dei soggetti a un sol personaggio, testi-
mone il suo incomparabile Edipo del Louvre, raggiunge
difficilmente la perfezione nelle composizioni a più
figure. I suoi primi quadri di genere : Il duca di Ber-
wick che riceve il Toison d’Oro (n. 20, della signora
contessa Robert de Fitz-James) ; IIAmbasciatore di
Spagna che bacia Ja spada di Enrico IV yn. 21, del
signor de Prat de l’Estang); L’entrata del Delfino
Carlo V a Parigi (n. 29, Coll. Bessonneau) sono am-
mirevoli dal punto di vista del disegno, degli atteg-
giamenti, del modellato ; un grande artista solo ha
potuto eseguirli ; ma tutto ciò non fa completamente
dimenticare il po’ di pesantezza che c’è nelle ombre,
e non si può fare a meno di pensare alla graziosa
prospettiva aerea, all’esecuzione leggera di qualche
piccolo maestro olandese che, per il resto, non arriva
alla caviglia di Ingres.

La sua prima grande opera : Giove e 'Peti (n. 15
del Museo di Aix) fu molto discussa. A torto, secondo
noi. Si è troppo dimenticato che c’è due maniere di
concepire il colore, l’ima più « moderna», più special-
mente veneziana, che consiste nell’armonia reciproca
dei toni, cioè a dire dei colori stessi : l’altra familiare
ai primitivi d’ogni paese, che cercavano innanzi tutto
l’unità generale dei valori più o meno chiari o scuri
e che non si occupavano dei colori che per dare a
ciascuno di essi, preso a parte, il massimo di unità
al tempo stesso che una qualità ricca e distinta al
possibile.
 
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