CAPITOLO PRIMO 23
comodi ed ai bisogni della vita. Anteriori bensì ai romani abbiamo le insigni
produzioni greco-italiane die nella bassa Italia e nella magna Grecia assicurano
come non può tralignare il gusto delle arti trasportate nel nostro suolo, men-
tre anche nelle città dell'Emilia, con un carattere più proprio della parte più
settentrionale, i popoli dell'Italia superiore non la cedevano ai siculi ed ai
tirreni:; e precisamente di essa intende parlare Plinio, ove dopo d'aver ram-
memorate le pitture di Ardea e di Lanuvio parla di Demerato e degli altri
che dall'Italia portarono l'arte della plastica (1), e le preziose officine dei va-
sellami aretini sì cari a Porsenna, de'quali cantò Marziale
„ Arredila nimis ne spernas vaso, monemus
jj Dives erat tuscis Porsena fictilibus.
Le cose sinora espresse possono palesare qual buon diritto resti all'Italia per
contendere i germi primitivi di molto sapere a tante altre cospicue nazioni del
mondo, e provar possono, che sebbene non convenga arrogarci l'esclusiva pre-
tesa di esser d'ogni arte inventori, pure dagli avanzi colossali che veggonsi
ancora delle opere dei primi popoli, e particolarmente di quelle che piace ad
alcuni di chiamar ciclopee, risulta patentemente, che le arti lunge dall'essere
fra noi anche in rimoti tempi bambine hanno giganteggiato dalle eminenti cime
di Volterra, di Cortona, di Chiusi sul resto delle meno colte parti del mondo.
E però cosa ben singolare, che gli uomini internandosi con le loro ricerche
nella caligine delle antichità, e nel tenebroso silenzio delle memorie storiche,
pretendano di ravvisare l'origine delle invenzioni delle cose, ove appena appa-
risce un barlume di luce, quasicchè pel difetto di non potei- scorgere più oltre,
non sia ragionevole il credere che esistessero monumenti anteriori alle memo-
rie che ci vengono tramandate. L'assegnare per origine delle arti e delle scien-
ze che onorano la specie umana unicamente quel tempo oltre cui non ci è
dato divedere per la sua antichità e per la mancanza di tradizioni, è un vero
insulto che si fa alla mente dell'uomo; e non so perchè si voglia così facilmen-
te supporre, che al di là delle età alle quali si può risalire , la umana mente
fosse meno atta a poter produrre cose degne dei posteri, quando questa non
era costituita di diversi elementi, e i primi uomini doveano sentire ingenite in
loro le stesse passioni, e provare una quantità di quei medesimi bisogni che
rendono ora così attivo l'ingegno nostro. Oltre a ciò non abbiamo alcun ar-
gomento per credere che la nostra specie nella sua origine fosse avvilita da un
torpore che inabile la rendesse ad alcun tentativo felice, e quindi non dissimi-
le inutilità io trovo nella ricerca della prima statua, della prima pittura, del
primo istrumento, della prima arme offensiva, del primo alfabeto; che forse
più o meno rozzamente queste cose ebbero vita coi primi palpiti del cuore
(1) Plinio Ili.. 35. G. XII.
menti ge-
nerali.
comodi ed ai bisogni della vita. Anteriori bensì ai romani abbiamo le insigni
produzioni greco-italiane die nella bassa Italia e nella magna Grecia assicurano
come non può tralignare il gusto delle arti trasportate nel nostro suolo, men-
tre anche nelle città dell'Emilia, con un carattere più proprio della parte più
settentrionale, i popoli dell'Italia superiore non la cedevano ai siculi ed ai
tirreni:; e precisamente di essa intende parlare Plinio, ove dopo d'aver ram-
memorate le pitture di Ardea e di Lanuvio parla di Demerato e degli altri
che dall'Italia portarono l'arte della plastica (1), e le preziose officine dei va-
sellami aretini sì cari a Porsenna, de'quali cantò Marziale
„ Arredila nimis ne spernas vaso, monemus
jj Dives erat tuscis Porsena fictilibus.
Le cose sinora espresse possono palesare qual buon diritto resti all'Italia per
contendere i germi primitivi di molto sapere a tante altre cospicue nazioni del
mondo, e provar possono, che sebbene non convenga arrogarci l'esclusiva pre-
tesa di esser d'ogni arte inventori, pure dagli avanzi colossali che veggonsi
ancora delle opere dei primi popoli, e particolarmente di quelle che piace ad
alcuni di chiamar ciclopee, risulta patentemente, che le arti lunge dall'essere
fra noi anche in rimoti tempi bambine hanno giganteggiato dalle eminenti cime
di Volterra, di Cortona, di Chiusi sul resto delle meno colte parti del mondo.
E però cosa ben singolare, che gli uomini internandosi con le loro ricerche
nella caligine delle antichità, e nel tenebroso silenzio delle memorie storiche,
pretendano di ravvisare l'origine delle invenzioni delle cose, ove appena appa-
risce un barlume di luce, quasicchè pel difetto di non potei- scorgere più oltre,
non sia ragionevole il credere che esistessero monumenti anteriori alle memo-
rie che ci vengono tramandate. L'assegnare per origine delle arti e delle scien-
ze che onorano la specie umana unicamente quel tempo oltre cui non ci è
dato divedere per la sua antichità e per la mancanza di tradizioni, è un vero
insulto che si fa alla mente dell'uomo; e non so perchè si voglia così facilmen-
te supporre, che al di là delle età alle quali si può risalire , la umana mente
fosse meno atta a poter produrre cose degne dei posteri, quando questa non
era costituita di diversi elementi, e i primi uomini doveano sentire ingenite in
loro le stesse passioni, e provare una quantità di quei medesimi bisogni che
rendono ora così attivo l'ingegno nostro. Oltre a ciò non abbiamo alcun ar-
gomento per credere che la nostra specie nella sua origine fosse avvilita da un
torpore che inabile la rendesse ad alcun tentativo felice, e quindi non dissimi-
le inutilità io trovo nella ricerca della prima statua, della prima pittura, del
primo istrumento, della prima arme offensiva, del primo alfabeto; che forse
più o meno rozzamente queste cose ebbero vita coi primi palpiti del cuore
(1) Plinio Ili.. 35. G. XII.
menti ge-
nerali.