62 LIBRO PRIMO
vogliasi ai popoli primitivi d'Italia che. abitarono le tre Etrurie, l'inferiore la
centrale e la superiore, dette altrimenti la Campana, la Toscana e la Cir-
cumpadana, sembra che tutti s'accordino essere stati i pelasghi ed i.lidj,ì
quali poi dopo lunga dimora in queste regioni tornarono in Grecia sotto il no-
me di pelasghi tirreni dal luogo dov'ebbero sede , o forse da dove mosse la
loro colonia. Sembra poter conciliarsi che il loro ritorno in Grecia servisse al
perfezionamento delle arti anche colà, per quell'estensione di cognizioni che
viene dal contatto dei saggi e dei dotti d'ogni nazione, come altresì è indubi-
tabile che nei primi secoli di Roma coll'ajuto delle opere greche molto miglio-
rarono gli etruschi il loro stile,e basti il riflettere che le migliori opere di que-
sta nazione sono del terzo secolo di Roma, e quindi contemporanee a quelle
di Fidia.
Sarebbe di fatti ben strano e ad ogni buon senso repugnante l'opporsi al
Lanzi e all'Inghirami col voler credere che soggetti greci trattati in ogni mo-
numento d'arte ancor dagli etruschi e in bassi rilievi e in patere e in gem-
me incise, dovessero avere una data anteriore ai floridi e bei tempi dell' At-
tica ; ed ogni ragione anzi ci convincerà che il primo a trattare tali soggetti
debb' essere stato il greco nella cui lingua erano i poemi e le memorie che ne
formavano il soggetto , la cui gloria nazionale esprimeva i fatti, ch'erano de-
notati sotto quei vestimenti e quelle armi, e non mai l'etrusco, cui era igno-
ta quella lingua, estranee erano quelle costumanze , indifferenti quegli avve-
nimenti . Si trattava di nazioni piene di spirito e di attività e una scintilla
bastava a produrre un incendio , dimodoché vedutesi appena dai popoli dell'
Etruria le opere de' greci artefici in Italia e in Sicilia, si compiacquero d'imi-
tarle appunto senza quella servilità a .cui si rifiuta chi sa di pei: se stesso in-
ventare .
L'osservarsi inoltre che le più belle opere etnische sono quelle appunto
che si avvicinano ai felici tempi della Grecia, prova evidentemente il soccor-
so mutuo delle cognizioni di queste due popolazioni. Se altrimenti fosse sta-
ta la cosa, avrebbero potuto gli etruschi senza sussidio straniero perfezionare
le arti in Italia, tramandarci a preferenza i loro fasti, le loro storie , le loro
favole nazionali j ma preferirono eglino l'imitazione dell'opere degli artefici
greci, dalle quali attinsero quel solo avviamento che bastò al feracissimo loro
ingegno per formarsi uno stile loro proprio, che seppero trattare maestrevol-
mente. Fanno di ciò fede le varietà eleganti sempre osservabili nelle ripeti-
zioni dello stesso soggetto che si veggono.le dieci e più volte sui sepolcri di
Volterra, e quei pochissimi soggetti nazionali che condussero con maestria non
dissimile dalle greche imitazioni. Con questo modo di pensare circa le arti
etsruche sembrami che possano conciliarsi altre opinioni , riflettendo che le
vicissitudini delle età ora trascorse potrebbero far rinascere il caso dei Pelasghi,
vogliasi ai popoli primitivi d'Italia che. abitarono le tre Etrurie, l'inferiore la
centrale e la superiore, dette altrimenti la Campana, la Toscana e la Cir-
cumpadana, sembra che tutti s'accordino essere stati i pelasghi ed i.lidj,ì
quali poi dopo lunga dimora in queste regioni tornarono in Grecia sotto il no-
me di pelasghi tirreni dal luogo dov'ebbero sede , o forse da dove mosse la
loro colonia. Sembra poter conciliarsi che il loro ritorno in Grecia servisse al
perfezionamento delle arti anche colà, per quell'estensione di cognizioni che
viene dal contatto dei saggi e dei dotti d'ogni nazione, come altresì è indubi-
tabile che nei primi secoli di Roma coll'ajuto delle opere greche molto miglio-
rarono gli etruschi il loro stile,e basti il riflettere che le migliori opere di que-
sta nazione sono del terzo secolo di Roma, e quindi contemporanee a quelle
di Fidia.
Sarebbe di fatti ben strano e ad ogni buon senso repugnante l'opporsi al
Lanzi e all'Inghirami col voler credere che soggetti greci trattati in ogni mo-
numento d'arte ancor dagli etruschi e in bassi rilievi e in patere e in gem-
me incise, dovessero avere una data anteriore ai floridi e bei tempi dell' At-
tica ; ed ogni ragione anzi ci convincerà che il primo a trattare tali soggetti
debb' essere stato il greco nella cui lingua erano i poemi e le memorie che ne
formavano il soggetto , la cui gloria nazionale esprimeva i fatti, ch'erano de-
notati sotto quei vestimenti e quelle armi, e non mai l'etrusco, cui era igno-
ta quella lingua, estranee erano quelle costumanze , indifferenti quegli avve-
nimenti . Si trattava di nazioni piene di spirito e di attività e una scintilla
bastava a produrre un incendio , dimodoché vedutesi appena dai popoli dell'
Etruria le opere de' greci artefici in Italia e in Sicilia, si compiacquero d'imi-
tarle appunto senza quella servilità a .cui si rifiuta chi sa di pei: se stesso in-
ventare .
L'osservarsi inoltre che le più belle opere etnische sono quelle appunto
che si avvicinano ai felici tempi della Grecia, prova evidentemente il soccor-
so mutuo delle cognizioni di queste due popolazioni. Se altrimenti fosse sta-
ta la cosa, avrebbero potuto gli etruschi senza sussidio straniero perfezionare
le arti in Italia, tramandarci a preferenza i loro fasti, le loro storie , le loro
favole nazionali j ma preferirono eglino l'imitazione dell'opere degli artefici
greci, dalle quali attinsero quel solo avviamento che bastò al feracissimo loro
ingegno per formarsi uno stile loro proprio, che seppero trattare maestrevol-
mente. Fanno di ciò fede le varietà eleganti sempre osservabili nelle ripeti-
zioni dello stesso soggetto che si veggono.le dieci e più volte sui sepolcri di
Volterra, e quei pochissimi soggetti nazionali che condussero con maestria non
dissimile dalle greche imitazioni. Con questo modo di pensare circa le arti
etsruche sembrami che possano conciliarsi altre opinioni , riflettendo che le
vicissitudini delle età ora trascorse potrebbero far rinascere il caso dei Pelasghi,