VAN DYCK A GENOVA
Capitolo IY.
Un allievo fiammingo del Tan Dyck a Genova — Giovanni Roos.
uando il Yan Dyck giunse nella Repubblica genovese,
dovette essere grande la sua sorpresa non trovandovi
una scuola nazionale, benché vi fossero artisti valenti e
cittadini appassionati per l'arte.
La mancanza d'ispirazione aveva persuaso i pittori
a seguire i metodi di altre scuole, specialmente della
veneziana, il potente colorito della quale meglio s'ac-
cordava col loro temperamento e coi loro gusti. Così
la scuola locale era rimasta priva di unità e di perso-
nalità.
Nei dipinti, che appartengono ad essa, notiamo una
collezione d'influenze, spesso opposte; un insieme di
scuole, in cui pochissimi sono i caratteri originali ; quei
pochi, di secondaria importanza, quasi non si avvertono.
Ingegni vigorosi e feraci, il Castello, il Paggi, il Fia-
sella, per esempio, potranno tutto al più scegliere i migliori pregi di varie scuole e riunirli
nelle loro opere; ma anche qui manca la fusione, e alcuni propri a qualcuna di esse concor-
rono con troppi elementi, acquistano preponderanza, invadono il lavoro e lo avviluppano
del loro carattere.
L'ammirazione per un maestro, per una scuola, accieca al punto da non avere altra
meta che l'avvicinarsi quanto più è possibile al modello. Se ciò si comprende in alcuni,
fra i quali il Carbone, ingegni eminentemente assimilatori, non si spiega in altri più robusti
e più personali di natura. Era sfiducia nelle proprie forze? Era convinzione? È diffìcile dare
una risposta categorica ed esauriente: un po' dell'una e un po' dell'altra, forse, ma certo
ciò contribuì a fare della genovese una scuola, che quasi si perde nelle altre.
Oltre a Tiziano, al Tintoretto, a Paolo Yeronese, i tre solitamente preferiti, si imita
Andrea del Sarto, come fecero il Paggi e il Piola: si tenta d'imitare Raffaello e la sua scuola,
che dopo i lavori di Perin del Yaga al palazzo Doria avevano sempre dettato legge nei freschi.
Poi si ricorse alle scuolé straniere.
Il Rubens, con i suoi smaglianti lavori, lasciati nella città, s'impadronisce della mente
di alcuni, ma l'imitazione riesce quasi sempre fredda, spesso infelice, a volte puerile.
Capitolo IY.
Un allievo fiammingo del Tan Dyck a Genova — Giovanni Roos.
uando il Yan Dyck giunse nella Repubblica genovese,
dovette essere grande la sua sorpresa non trovandovi
una scuola nazionale, benché vi fossero artisti valenti e
cittadini appassionati per l'arte.
La mancanza d'ispirazione aveva persuaso i pittori
a seguire i metodi di altre scuole, specialmente della
veneziana, il potente colorito della quale meglio s'ac-
cordava col loro temperamento e coi loro gusti. Così
la scuola locale era rimasta priva di unità e di perso-
nalità.
Nei dipinti, che appartengono ad essa, notiamo una
collezione d'influenze, spesso opposte; un insieme di
scuole, in cui pochissimi sono i caratteri originali ; quei
pochi, di secondaria importanza, quasi non si avvertono.
Ingegni vigorosi e feraci, il Castello, il Paggi, il Fia-
sella, per esempio, potranno tutto al più scegliere i migliori pregi di varie scuole e riunirli
nelle loro opere; ma anche qui manca la fusione, e alcuni propri a qualcuna di esse concor-
rono con troppi elementi, acquistano preponderanza, invadono il lavoro e lo avviluppano
del loro carattere.
L'ammirazione per un maestro, per una scuola, accieca al punto da non avere altra
meta che l'avvicinarsi quanto più è possibile al modello. Se ciò si comprende in alcuni,
fra i quali il Carbone, ingegni eminentemente assimilatori, non si spiega in altri più robusti
e più personali di natura. Era sfiducia nelle proprie forze? Era convinzione? È diffìcile dare
una risposta categorica ed esauriente: un po' dell'una e un po' dell'altra, forse, ma certo
ciò contribuì a fare della genovese una scuola, che quasi si perde nelle altre.
Oltre a Tiziano, al Tintoretto, a Paolo Yeronese, i tre solitamente preferiti, si imita
Andrea del Sarto, come fecero il Paggi e il Piola: si tenta d'imitare Raffaello e la sua scuola,
che dopo i lavori di Perin del Yaga al palazzo Doria avevano sempre dettato legge nei freschi.
Poi si ricorse alle scuolé straniere.
Il Rubens, con i suoi smaglianti lavori, lasciati nella città, s'impadronisce della mente
di alcuni, ma l'imitazione riesce quasi sempre fredda, spesso infelice, a volte puerile.