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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 1.1898

DOI issue:
Fasc. 10-12
DOI article:
Fleres, Ugo: Arte contemporanea, [4]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24143#0498

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ARTE CONTEMPORANEA

N Italia si è cominciato a conoscere Domenico Trentacoste, soltanto nel '95, cioè
quando apparve alla prima esposizione biennale di Venezia la sua statua La derelitta,
fin dall' 80 si faceva notare fra gli artisti a Parigi, eseguendo il ritratto dello scultore
Lanzirotti e quello d'un impiegato del « Figaro », entrambi in terra cotta. Egli
era giunto allora allora nella capitale francese, così, alla ventura, e nei primi due
anni gli toccò vivere lavorando più per altri che per sè. Intanto esponeva al « Salon »
una testa di'vecchio, nell'81, sospirando il momento d'avere uno studio a sè dove
svolgere in piena libertà quel che gli ferveva nell'animo. E già le precipue linee del
suo ideale erano stabilite, poiché fra' suoi entusiasmi giovanili il più ardente, il
più fecondo, il più duraturo era nato in Firenze dalla casta e severa scultura del
Quattrocento.

In Firenze il Trentacoste s'era recato nel '78, con la mente sgombra di qualsiasi
preoccupazione di scuola. Da fanciullo aveva avuto a maestro nella nativa Palermo il
Costantino, che, per raro e felice criterio, non gli aveva suscitato nello spirito alcun
pregiudizio accademico o di realismo, o d'avvenirismo. Ed egli, dinanzi alle opere
del primo Rinascimento, si sentiva pervadere da profonda tenerezza e immaginava
che gli autori le avessero lavorate in ginocchio, piuttosto col soffio che con le mani.
Ebbene, tale appunto è l'impressione che si prova innanzi 'alle più recenti e migliori
opere del Trentacoste: esse palesano una specie di devozione in chi le modellò, non importa
se questa religiosità abbia per nume la bellezza plastica invece d'una potenza soprannatu-
rale. E la delicatezza del lavoro, principalmente manifestata nel trattare il marmo, sembra
davvero ottenuta col soffio. Altri scultori, specie fra i giovani, raggiungono ed anche supe-
rano quel grado di finitezza, ma senza la purità del tocco che è propria del Trentacoste,
e che lascia alle sue figure la larghezza, la tranquillità di cui la scultura non si priva senza
danno e senza rendersi poco durevole. Altro è la finitezza, altro è la finezza.

Dopo due anni di soggiorno in Toscana, andò a Parigi, come abbiam detto. Or ecco
i principali lavori che egli vi eseguì a partire dal 1882, cioè da quando, in séguito alla sua
presentazione al « Salon », ebbe un vero studio. Fin da questo momento la carriera del
Trentacoste ha una certa determinazione. Se l'idealità fiorentina quattrocentesca aveva dato
la prima fisonomia alle sue tendenze, l'esser egli lontano dalla patria, e perciò il non avere
occasione d'avventurarsi e anche sciuparsi in perpetui concorsi monumentali, definì meglio
ancora quelle tendenze, svolse con particolare esercizio le attitudini del giovane artista,
costringendolo a compiere volta per volta l'opera iniziata, anziché divagare fra bozzetti o
indugiare in saggi accademici per questa o quella pensione. E come il suo studio è poco
 
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