CRONACA
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verno italiano ha dei diritti, perchè poneva come con-
dizione necessaria a dar valore al contratto la nostra
rinunzia a codesti diritti.
« A me pare che il Governo francese (e glie ne va
data larghissima lode) non potesse comportarsi in
modo migliore. Esso si è comportato con la tradizio-
nale cortesia francese, degna del latin sangue gentile,
verso la nazione sorella. E tutti sanno, del resto, che
i sentimenti che ha in Italia la parte pensante e colta
del paese, a proposito della vendita del palazzo Far-
nese, sono stati sempre correttamente e delicatamente
compresi in Francia. Non so se si possa dire che
siano stati compresi e trattati con eguale correttezza
e delicatezza altrove.
« La Francia ha, io credo, ben compreso come il
modo migliore per far sì che i vincoli di amicizia tra
i nostri due paesi continuino e si rinsaldino sempre
più, sia quello di adoperarsi perchè quest’amicizia si
fondi, non solo sulla mutua simpatia delle classi po-
polari, ma anche nella intimità intellettuale e di sen-
timento delle classi alte dei due paesi, delle classi
pensanti e colte; nelle quali, checché si dica, è an-
cora la forza deila società moderna. (Bene/)
« La Francia, dunque, ci domanda se a noi con-
venga rinunziare ai nostri diritti, e dare il nostro con-
senso alla vendita del palazzo Farnese. Ora notate
bene. La frase se a noi convenga, la frase gentile,
cavalleresca, non puramente diplomatica, ma fina-
mente corretta e delicata, ha in francese, nella bocca
del ministro, il suo significato naturale ed ovvio, che
noi però possiamo, dobbiamo tradurre così : se sia
del nostro decoro rinunciare ai nostri diritti, mostrarci
nei sentimenti meno italiani di Alfonso di Borbone,
duca di Caserta, che ha dichiarato di preferire che il
suo palazzo vada all’Italia; meno italiani di Pio IX,
il quale, seguendo una tradizione costante di tutta la
storia del Papato, che si identifica con quella della
cultura italiana, dichiarava che la vendita del palazzo
Farnese avrebbe offeso profondamente i sentimenti
artistici ed il sentimento patriottico dei romani.
« Pensiamoci, dunque, tutti seriamente se a noi
convenga fare il gran rifiuto. Pensiamoci molto prima
di fare questo rifiuto, anche condizionatamente (come
si dice che forse si vorrebbe fare), vale a dire con
una specie di restrizione mentale — mi dispiace, ma
la parola è proprio questa — con la riserva mentale
di lasciarci aperta la via ad esercitare poi il diritto
di riscatto dopo un certo numero di anni ; riserva,
voi lo sapete meglio di me, che fanno sempre coloro
che non hanno nè la forza, nè il coraggio, nè la vo-
glia di riacquistare quello che vendono. È la riserva
che fanno sempre i falliti.
« Noi siamo tenerissimi, almeno a parole, della
cura e della tutela dei nostri monumenti ; e inse-
guiamo con lamenti infiniti una statua, una gamba,
un braccio di statua, scavato in Italia e che minacci
di andare oltre i confini ; noi spendiamo, profondiamo
milioni per edificare palazzi di molto dubbia bellezza ;
e permetteremmo che non fosse più nostro, con tutte
le preziosissime opere d’arte, che ha in sè, uno dei
più mirabili palazzi d’Italia, il più bello di Roma.
Nè si dica, ripeto, che la Francia non si varrebbe
mai del suo diritto di extra-territorialità. Per ammet-
terlo assolutamente sarebbe necessaria in noi una
buona dose di cieca, ingenua fiducia nell’avvenire, di
cui non siamo padroni.
« Noi abbiamo in Roma tre tipi insigni del pa-
lazzo : quello del palazzo, che sta ancora per le sue
linee e per il suo carattere fra il Medioevo e il Rina-
scimento : il palazzo di Venezia ; e questo non è no-
stro. Abbiamo il mirabile palazzo della Cancelleria,
fiore del primo Rinascimento ; e questo è del papa.
E ora permetteremmo che non fosse più nostro, nel
cuore di Roma, il palazzo che rappresenta il punto
più alto dell’eleganza unita alla dignità grandiosa del-
l’architettura del secolo xvt ! E così, mentre il palazzo
di Venezia è dell’Austria, e la Cancelleria è del Va-
ticano, e il Gianicolo è, in parte, della Spagna, e
Villa Medici è della Francia, ed il Campidoglio è
quasi tutto tedesco, noi proseguiremmo a cuor leggero
questo fatale infeudamento di Roma ad altre nazioni !
« Pensiamoci, ripeto. Dopo aver votato più leggi
a favore dei monumenti, mostriamo col fatto il nostro
rispetto a quell'alta nobiltà ideale del genio nazionale,
per cui l’Italia può dirsi la più gran signora dell’arte,
che vi sia nella società delle nazioni civili. Conser-
viamo, non dico alla vista degli Italiani, ma all’uso,
al godimento sociale ed estetico del nostro popolo nei
suoi convegni, nelle solennità festive, nei ricevimenti,
che potrebbe offrirgli la munificenza dei nostri prin-
cipi, e a quel decoro della nostra vita pubblica, a
cui l’Italia è obbligata dalla sua nobiltà, il meravi-
glioso palazzo, il più bello di Roma, uno certo dei
più belli del mondo, insieme, on. Molmenti, al vostro
stupendo palazzo dei Dogi ; il palazzo Farnese, sul
cui cornicione aleggia il genio di quel titano del pen-
siero architettato, scolpito, dipinto, che fu Michelan-
gelo Buonarroti. (Applausi vivissimi).
Interessi dell’arte italiana. — Il senatore Pom-
peo Molmenti parlò il 23 giugno al Senato di tanti
interessi italiani d’arte e con tanta eloquenza, da mo-
verci a riprodurre per intero il discorso.
Eccolo :
«Debbo anzitutto all’onorevole ministro della pub-
blica istruzione un ringraziamento per aver egli final-
mente presentato il disegno di legge sul personale
delle antichità e belle arti. Questo è compenso ba-
stante alle parole un po’ aspre che l’onorevole mini-
stro diresse a me e agli altri presidenti delle Acca-
demie di belle arti, i quali, stanchi d’aspettare questo
disegno di legge si erano dimessi.
« Nessun risentimento, neppure il ricordo di quelle
L'Arte. XIII, 40.
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verno italiano ha dei diritti, perchè poneva come con-
dizione necessaria a dar valore al contratto la nostra
rinunzia a codesti diritti.
« A me pare che il Governo francese (e glie ne va
data larghissima lode) non potesse comportarsi in
modo migliore. Esso si è comportato con la tradizio-
nale cortesia francese, degna del latin sangue gentile,
verso la nazione sorella. E tutti sanno, del resto, che
i sentimenti che ha in Italia la parte pensante e colta
del paese, a proposito della vendita del palazzo Far-
nese, sono stati sempre correttamente e delicatamente
compresi in Francia. Non so se si possa dire che
siano stati compresi e trattati con eguale correttezza
e delicatezza altrove.
« La Francia ha, io credo, ben compreso come il
modo migliore per far sì che i vincoli di amicizia tra
i nostri due paesi continuino e si rinsaldino sempre
più, sia quello di adoperarsi perchè quest’amicizia si
fondi, non solo sulla mutua simpatia delle classi po-
polari, ma anche nella intimità intellettuale e di sen-
timento delle classi alte dei due paesi, delle classi
pensanti e colte; nelle quali, checché si dica, è an-
cora la forza deila società moderna. (Bene/)
« La Francia, dunque, ci domanda se a noi con-
venga rinunziare ai nostri diritti, e dare il nostro con-
senso alla vendita del palazzo Farnese. Ora notate
bene. La frase se a noi convenga, la frase gentile,
cavalleresca, non puramente diplomatica, ma fina-
mente corretta e delicata, ha in francese, nella bocca
del ministro, il suo significato naturale ed ovvio, che
noi però possiamo, dobbiamo tradurre così : se sia
del nostro decoro rinunciare ai nostri diritti, mostrarci
nei sentimenti meno italiani di Alfonso di Borbone,
duca di Caserta, che ha dichiarato di preferire che il
suo palazzo vada all’Italia; meno italiani di Pio IX,
il quale, seguendo una tradizione costante di tutta la
storia del Papato, che si identifica con quella della
cultura italiana, dichiarava che la vendita del palazzo
Farnese avrebbe offeso profondamente i sentimenti
artistici ed il sentimento patriottico dei romani.
« Pensiamoci, dunque, tutti seriamente se a noi
convenga fare il gran rifiuto. Pensiamoci molto prima
di fare questo rifiuto, anche condizionatamente (come
si dice che forse si vorrebbe fare), vale a dire con
una specie di restrizione mentale — mi dispiace, ma
la parola è proprio questa — con la riserva mentale
di lasciarci aperta la via ad esercitare poi il diritto
di riscatto dopo un certo numero di anni ; riserva,
voi lo sapete meglio di me, che fanno sempre coloro
che non hanno nè la forza, nè il coraggio, nè la vo-
glia di riacquistare quello che vendono. È la riserva
che fanno sempre i falliti.
« Noi siamo tenerissimi, almeno a parole, della
cura e della tutela dei nostri monumenti ; e inse-
guiamo con lamenti infiniti una statua, una gamba,
un braccio di statua, scavato in Italia e che minacci
di andare oltre i confini ; noi spendiamo, profondiamo
milioni per edificare palazzi di molto dubbia bellezza ;
e permetteremmo che non fosse più nostro, con tutte
le preziosissime opere d’arte, che ha in sè, uno dei
più mirabili palazzi d’Italia, il più bello di Roma.
Nè si dica, ripeto, che la Francia non si varrebbe
mai del suo diritto di extra-territorialità. Per ammet-
terlo assolutamente sarebbe necessaria in noi una
buona dose di cieca, ingenua fiducia nell’avvenire, di
cui non siamo padroni.
« Noi abbiamo in Roma tre tipi insigni del pa-
lazzo : quello del palazzo, che sta ancora per le sue
linee e per il suo carattere fra il Medioevo e il Rina-
scimento : il palazzo di Venezia ; e questo non è no-
stro. Abbiamo il mirabile palazzo della Cancelleria,
fiore del primo Rinascimento ; e questo è del papa.
E ora permetteremmo che non fosse più nostro, nel
cuore di Roma, il palazzo che rappresenta il punto
più alto dell’eleganza unita alla dignità grandiosa del-
l’architettura del secolo xvt ! E così, mentre il palazzo
di Venezia è dell’Austria, e la Cancelleria è del Va-
ticano, e il Gianicolo è, in parte, della Spagna, e
Villa Medici è della Francia, ed il Campidoglio è
quasi tutto tedesco, noi proseguiremmo a cuor leggero
questo fatale infeudamento di Roma ad altre nazioni !
« Pensiamoci, ripeto. Dopo aver votato più leggi
a favore dei monumenti, mostriamo col fatto il nostro
rispetto a quell'alta nobiltà ideale del genio nazionale,
per cui l’Italia può dirsi la più gran signora dell’arte,
che vi sia nella società delle nazioni civili. Conser-
viamo, non dico alla vista degli Italiani, ma all’uso,
al godimento sociale ed estetico del nostro popolo nei
suoi convegni, nelle solennità festive, nei ricevimenti,
che potrebbe offrirgli la munificenza dei nostri prin-
cipi, e a quel decoro della nostra vita pubblica, a
cui l’Italia è obbligata dalla sua nobiltà, il meravi-
glioso palazzo, il più bello di Roma, uno certo dei
più belli del mondo, insieme, on. Molmenti, al vostro
stupendo palazzo dei Dogi ; il palazzo Farnese, sul
cui cornicione aleggia il genio di quel titano del pen-
siero architettato, scolpito, dipinto, che fu Michelan-
gelo Buonarroti. (Applausi vivissimi).
Interessi dell’arte italiana. — Il senatore Pom-
peo Molmenti parlò il 23 giugno al Senato di tanti
interessi italiani d’arte e con tanta eloquenza, da mo-
verci a riprodurre per intero il discorso.
Eccolo :
«Debbo anzitutto all’onorevole ministro della pub-
blica istruzione un ringraziamento per aver egli final-
mente presentato il disegno di legge sul personale
delle antichità e belle arti. Questo è compenso ba-
stante alle parole un po’ aspre che l’onorevole mini-
stro diresse a me e agli altri presidenti delle Acca-
demie di belle arti, i quali, stanchi d’aspettare questo
disegno di legge si erano dimessi.
« Nessun risentimento, neppure il ricordo di quelle
L'Arte. XIII, 40.