BOLLETlINO BLBLIOGRAFLCO
399
palazzo di Belfiore, era molto ammirato e studiato un suo
splendido trittico, la cui parte cenlrale, era una «Pietà »,
che si suppone quella passata poi agli Uffizi, ed attribuita a
Memling; non solo, ma lo stesso maestro Ruggero avrebbe
insegnato a dipingere ad olio ad Angelo da Siena detto il
Maccagnino e a Gailasso, quando, dice l’autore, nel 1450
di ritorno dal Giubileo si sarebbe fermato alquanto nella
corte Estense ; il che, per vero dire, non è confermato dai
documenti, sapendosi che Ruggero Van der Weyden era a
Ferrr&ra prima del giubileo, non poi.
Disgraziatamente sta qui tutta la forza delle argomenta-
zioni del Fry, che non ha veduta la stranezza del rappre-
sentare questo raffinato figliuolo dell’ umanesimo Lionello
d’Este, con un martellino in mano!
Il Fry chiama questa una di quelle simboliche imprese
di cui si dilettavano i signori d’allora; ma quale signifi-
cato essa abbia, non ci dice.
Un ultimo argomento in favore della tesi è desunto dallo
stemma di casa d’Este dipinto al rovescio del quadro, ed è
quello assunto per lettere patenti di Carlo VII dopo il 1431.
Fra le imprese si vedono ripetute due volte le iniziali M. E.
(Marchio Estensis).
Ora in una nota del signor A. V'N de Put nello stesso
fascicolo a pag. 235 ci si dice che le suddette iniziali si pos-
sono in modo certo riferire solo a Lionello d’Este, allo stesso
modo che nelle medaglie di Nicolò III le iniziali N. M. E.
significano : Nicolaus Marchio Estensis. Veramente per riferire
esclusivamente a Lionello le suddette iniziali, manca una L.
Ma che il ritratto poi sia di Lionello d’Este, il confronto
che oggi si può fare, con quello del marchese di Ferrara,
a Bergamo, opera del Pisanello, con quello dell’Orioli, nella
National Gallery di Londra, c’inducono a dubitare della
identificazione. (#. s.).
165. Giolli (Raffaello) Appunti d’arte novarese.
(■Bollettino d’arte, V, 1911, pag. 207-212).
Pubblica alcuni freschi di poca importanza ch’egli crede
precursori dell’arte di Gaudenzio Ferrari.
166. Gnoli (Umberto) Il « Gonfalone della Peste»
di Niccolò Alunno e la più antica veduta di Assisi.
(.Bollettino d’Arte, V, 1911, pag. 63-70).
Questo gonfalone descritto da Fra Ludovico di Città di
Castello (f i58o) in un suo manoscritto, che si conserva
nella Biblioteca comunale di Assisi, n. 148, ornò un tempo
l’altare di san Ludovico oggi di santo Stefano, della chiesa
inferiore d’Assisi. Venduto tra il 1820 e il 1835 colle-
zionista antiquario I. A. Ramboux, passato poi con tutta la
collezione al Museo di Colonia e disperso quando questa
fu dispersa nel 1880 circa, è stato rinvenuto ora dal pro-
fessore Paul Perdrizet nella Prie ster haus di Kevelaer nel
refettorio di quei religiosi, e il Perdrizet lo ha segnalato
allo Gnoli, il quale, dandone la riproduzione, fa un dili-
gente studio sulla iconografia dei gonfaloni detti troppo ge-
nericamente umbri, mentre sono esclusivamente prodotto
di scuola perugina; e nota come il Liberatore si sia allon-
tanato pei' il suo lavoro dalla consueta formula iconografia
pur prendendone in prestito taluni elementi.
Questa nuova pittura non aggiur.ge nessun vanto alla
produzione artistica deH’Alunno, ma è interessante per una
veduta che ci dà della città di Assisi, la più antica che si
conosca di questa città e che il Gnoli illustra largamente.
[a. r.).
167. Hadeln (Detlev v.) Ueber einige Frùhwerke
des Palma Vecchio. (Monatshefte fur Kunstwissen-
schaft. Maggio, 1911).
Queste opere giovanili di Palma il Vecchio che l’A.
studia sono: una mezza figura di giovane soldato, ora nella
Galleria di Budapest; un ritratto di giovane donna, pure
nella stessa Galleria.
Queste pitture sarebbero del periodo in cui Jacopo Ne-
gretti dipende ancora dall’arte di Giovanni Bellini.
Secondo l’A. appartiene anche a questo ciclo di pitture:
una mezza figura di giovane uomo, che sta nel Museo ci-
vico di Verona, e che finora fu attribuita a diversi pittori
veneti.
Notiamo solo che il ritratto virile di Budapest appartiene
invece con tutta probabilità alla scuola emiliana, e quello del
Museo di Verona appartiene ad un restauratore e rifacitore
moderno. (a. s ).
168. Hadeln( Detlev v.) Fin Jugendwerk des Pier
Maria Pennacchi. (Monatshefte fùr Kunstwissenschafi,
Giugno, 1911).
L’A. è arrivato a leggere un cartellino di un quadro,
che andato nel 1821 con la collezione Solly a Berlino nel
Friedrich-Museum, fu indicato nel catalogo come una pit-
tura di « Scuola veneziana circa il 1500 ».
Il cartellino portava questa indicazione : Petrus Maria
pinsit: e l’A. identifica il pittore con Pietro Maria Pen-
nacchi, e dopo opportuni raffronti con l’opera del fratello
Girolamo Pennacchi, dice che questo quadro, rappresen-
tante una Madonna con Bambino e Santi, deve ritenersi
come un’opera giovanile dell’artista, di cui è al Friedrich-
Museum anche una Pietà. (a. j.).
169. Jacobsen (Emil) Gemdlde und Zeichuungen
in Genua. (Repertorium fùr Kunstwissensch., XXXIV,
pag. 185-223).
E una revisione critica delle recenti pubblicazioni sopra
i quadri ed i disegni del Palazzo Bianco e del Palazzo Rosso
fatte da Orlando Grosso e da Antonio Pettorelli. E poiché
questi signori non erano a conoscenza della bibliografia re-
cente, nè avevano le ampie cognizioni stilistiche dello Ja-
cobsen, la revisione critica è utilissima, anche se le opinioni
non sono sempre accettabili.
170. Londi (Emilio) Il Classicismo nella pittura
fiorentina del Quattrocento.—Firenze, Barbera, 1911;
pag. 232.
Dimostrato che il classicismo fu un fenomeno spontaneo
e non voluto nella pittura fiorentina, e indicate le fonti della
cultura classica degli artisti, l’A. espone diligentemente quali
particolari ne’ soggetti religiosi e quali interpretazioni della
tradizione greco-latina rivelano nella pittura fiorentina le aspi-
razioni classicheggianti. Con 1’ interruzione violenta fatta dal
Savonarola alla cultura pagana, lo studio dell’A. ha fine
399
palazzo di Belfiore, era molto ammirato e studiato un suo
splendido trittico, la cui parte cenlrale, era una «Pietà »,
che si suppone quella passata poi agli Uffizi, ed attribuita a
Memling; non solo, ma lo stesso maestro Ruggero avrebbe
insegnato a dipingere ad olio ad Angelo da Siena detto il
Maccagnino e a Gailasso, quando, dice l’autore, nel 1450
di ritorno dal Giubileo si sarebbe fermato alquanto nella
corte Estense ; il che, per vero dire, non è confermato dai
documenti, sapendosi che Ruggero Van der Weyden era a
Ferrr&ra prima del giubileo, non poi.
Disgraziatamente sta qui tutta la forza delle argomenta-
zioni del Fry, che non ha veduta la stranezza del rappre-
sentare questo raffinato figliuolo dell’ umanesimo Lionello
d’Este, con un martellino in mano!
Il Fry chiama questa una di quelle simboliche imprese
di cui si dilettavano i signori d’allora; ma quale signifi-
cato essa abbia, non ci dice.
Un ultimo argomento in favore della tesi è desunto dallo
stemma di casa d’Este dipinto al rovescio del quadro, ed è
quello assunto per lettere patenti di Carlo VII dopo il 1431.
Fra le imprese si vedono ripetute due volte le iniziali M. E.
(Marchio Estensis).
Ora in una nota del signor A. V'N de Put nello stesso
fascicolo a pag. 235 ci si dice che le suddette iniziali si pos-
sono in modo certo riferire solo a Lionello d’Este, allo stesso
modo che nelle medaglie di Nicolò III le iniziali N. M. E.
significano : Nicolaus Marchio Estensis. Veramente per riferire
esclusivamente a Lionello le suddette iniziali, manca una L.
Ma che il ritratto poi sia di Lionello d’Este, il confronto
che oggi si può fare, con quello del marchese di Ferrara,
a Bergamo, opera del Pisanello, con quello dell’Orioli, nella
National Gallery di Londra, c’inducono a dubitare della
identificazione. (#. s.).
165. Giolli (Raffaello) Appunti d’arte novarese.
(■Bollettino d’arte, V, 1911, pag. 207-212).
Pubblica alcuni freschi di poca importanza ch’egli crede
precursori dell’arte di Gaudenzio Ferrari.
166. Gnoli (Umberto) Il « Gonfalone della Peste»
di Niccolò Alunno e la più antica veduta di Assisi.
(.Bollettino d’Arte, V, 1911, pag. 63-70).
Questo gonfalone descritto da Fra Ludovico di Città di
Castello (f i58o) in un suo manoscritto, che si conserva
nella Biblioteca comunale di Assisi, n. 148, ornò un tempo
l’altare di san Ludovico oggi di santo Stefano, della chiesa
inferiore d’Assisi. Venduto tra il 1820 e il 1835 colle-
zionista antiquario I. A. Ramboux, passato poi con tutta la
collezione al Museo di Colonia e disperso quando questa
fu dispersa nel 1880 circa, è stato rinvenuto ora dal pro-
fessore Paul Perdrizet nella Prie ster haus di Kevelaer nel
refettorio di quei religiosi, e il Perdrizet lo ha segnalato
allo Gnoli, il quale, dandone la riproduzione, fa un dili-
gente studio sulla iconografia dei gonfaloni detti troppo ge-
nericamente umbri, mentre sono esclusivamente prodotto
di scuola perugina; e nota come il Liberatore si sia allon-
tanato pei' il suo lavoro dalla consueta formula iconografia
pur prendendone in prestito taluni elementi.
Questa nuova pittura non aggiur.ge nessun vanto alla
produzione artistica deH’Alunno, ma è interessante per una
veduta che ci dà della città di Assisi, la più antica che si
conosca di questa città e che il Gnoli illustra largamente.
[a. r.).
167. Hadeln (Detlev v.) Ueber einige Frùhwerke
des Palma Vecchio. (Monatshefte fur Kunstwissen-
schaft. Maggio, 1911).
Queste opere giovanili di Palma il Vecchio che l’A.
studia sono: una mezza figura di giovane soldato, ora nella
Galleria di Budapest; un ritratto di giovane donna, pure
nella stessa Galleria.
Queste pitture sarebbero del periodo in cui Jacopo Ne-
gretti dipende ancora dall’arte di Giovanni Bellini.
Secondo l’A. appartiene anche a questo ciclo di pitture:
una mezza figura di giovane uomo, che sta nel Museo ci-
vico di Verona, e che finora fu attribuita a diversi pittori
veneti.
Notiamo solo che il ritratto virile di Budapest appartiene
invece con tutta probabilità alla scuola emiliana, e quello del
Museo di Verona appartiene ad un restauratore e rifacitore
moderno. (a. s ).
168. Hadeln( Detlev v.) Fin Jugendwerk des Pier
Maria Pennacchi. (Monatshefte fùr Kunstwissenschafi,
Giugno, 1911).
L’A. è arrivato a leggere un cartellino di un quadro,
che andato nel 1821 con la collezione Solly a Berlino nel
Friedrich-Museum, fu indicato nel catalogo come una pit-
tura di « Scuola veneziana circa il 1500 ».
Il cartellino portava questa indicazione : Petrus Maria
pinsit: e l’A. identifica il pittore con Pietro Maria Pen-
nacchi, e dopo opportuni raffronti con l’opera del fratello
Girolamo Pennacchi, dice che questo quadro, rappresen-
tante una Madonna con Bambino e Santi, deve ritenersi
come un’opera giovanile dell’artista, di cui è al Friedrich-
Museum anche una Pietà. (a. j.).
169. Jacobsen (Emil) Gemdlde und Zeichuungen
in Genua. (Repertorium fùr Kunstwissensch., XXXIV,
pag. 185-223).
E una revisione critica delle recenti pubblicazioni sopra
i quadri ed i disegni del Palazzo Bianco e del Palazzo Rosso
fatte da Orlando Grosso e da Antonio Pettorelli. E poiché
questi signori non erano a conoscenza della bibliografia re-
cente, nè avevano le ampie cognizioni stilistiche dello Ja-
cobsen, la revisione critica è utilissima, anche se le opinioni
non sono sempre accettabili.
170. Londi (Emilio) Il Classicismo nella pittura
fiorentina del Quattrocento.—Firenze, Barbera, 1911;
pag. 232.
Dimostrato che il classicismo fu un fenomeno spontaneo
e non voluto nella pittura fiorentina, e indicate le fonti della
cultura classica degli artisti, l’A. espone diligentemente quali
particolari ne’ soggetti religiosi e quali interpretazioni della
tradizione greco-latina rivelano nella pittura fiorentina le aspi-
razioni classicheggianti. Con 1’ interruzione violenta fatta dal
Savonarola alla cultura pagana, lo studio dell’A. ha fine