SCULTURA ROMANA E BIZANTINA A RAVENNA
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opere bizantine da quelle romane; ma la comunità degli elementi extra-artistici era tale in
quei tempi da rendere non facile una distinzione stilistica pura.
Ma, a rendere anche più difficile il compito, le due correnti vennero a contatto, sì che
altre forme ibride videro la luce.
Fortunatamente proprio di quei tempi si conserva una serie ininterrotta di opere in
Ravenna, sì che qui più che altrove è possibile seguire ogni minima oscillazione degli stili.
Uno strumento ebbe gran diffusione: il trapano. Certo esso serviva mirabilmente agl’in-
tenti pittorici bizantini. Chè il trapano crea il vano scuro, cioè il fondo che, ricolmo d’ombra,
risale necessariamente alla superficie. Non ne segue, tuttavia, che dovunque vedesi traccia del
trapano, si debba ritrovare l’arte bizantina. I Bizantini possono aver contribuito a diffonderlo,
ma non potevano con eguale facilità cedere insieme la loro visione figurativa. I Romani, d’altra
Fig. i — Ravenna, Duomo. Urna romana. Inizio del secolo vi
(^Fotografia Ricci).
parte, pure adoperando il trapano avevano modo di significare lo stesso, sia pure meno com-
piutamente, i loro plastici intenti.
Da quanto ho eletto, si può finalmente concludere:
iu 1 Bizantini non crearono — nè potevano creare — una nuova plastica.
2° Crearono invece la pittura marmorea, dal rabesco allo pseudo-bassorilievo ad effetto
cromatico.
Il rabesco marmoreo bizantino era emanazione di una speciale sensibilità; e speciale
doveva essere la sua funzione spirituale, opposta a quella della scultura. Non sensazioni defi-
nite, nitide, concrete; non impressioni di resistenza, e forza.La tenuità del refe marmoreo ci
richiama, invece, all’inesistente e all’indefinito, alle immagini immateriate e innaturali, a giochi
bizzarri di luce popolanti la stranezza di un mondo fantasmagorico.
Ma restava il marmo: la materia nella condensata compagine atomica, che ai sensi con-
trappone la propria impenetrabilità virginea. Eppure i Bizantini riuscirono a togliere alla ma-
teria il suggello della qualità nativa. I Romani, plastici — parlo dei tardi Romani — inaspri-
rono 1’ impressione di resistenza atomica dei corpi solidi, e chiesero al marmo ora lustra du-
rezza, ora granulosa rudità: lastre di metallo battuto, rotondità d’avorio, asperità della materia
greggia. E fu invenzione plastica quella delle incurvate superficie, dorsi dei sarcofago Invano
batte la luce contro il marmo martellato: essa è risospinta inesorabilmente indietro, e si rac-
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opere bizantine da quelle romane; ma la comunità degli elementi extra-artistici era tale in
quei tempi da rendere non facile una distinzione stilistica pura.
Ma, a rendere anche più difficile il compito, le due correnti vennero a contatto, sì che
altre forme ibride videro la luce.
Fortunatamente proprio di quei tempi si conserva una serie ininterrotta di opere in
Ravenna, sì che qui più che altrove è possibile seguire ogni minima oscillazione degli stili.
Uno strumento ebbe gran diffusione: il trapano. Certo esso serviva mirabilmente agl’in-
tenti pittorici bizantini. Chè il trapano crea il vano scuro, cioè il fondo che, ricolmo d’ombra,
risale necessariamente alla superficie. Non ne segue, tuttavia, che dovunque vedesi traccia del
trapano, si debba ritrovare l’arte bizantina. I Bizantini possono aver contribuito a diffonderlo,
ma non potevano con eguale facilità cedere insieme la loro visione figurativa. I Romani, d’altra
Fig. i — Ravenna, Duomo. Urna romana. Inizio del secolo vi
(^Fotografia Ricci).
parte, pure adoperando il trapano avevano modo di significare lo stesso, sia pure meno com-
piutamente, i loro plastici intenti.
Da quanto ho eletto, si può finalmente concludere:
iu 1 Bizantini non crearono — nè potevano creare — una nuova plastica.
2° Crearono invece la pittura marmorea, dal rabesco allo pseudo-bassorilievo ad effetto
cromatico.
Il rabesco marmoreo bizantino era emanazione di una speciale sensibilità; e speciale
doveva essere la sua funzione spirituale, opposta a quella della scultura. Non sensazioni defi-
nite, nitide, concrete; non impressioni di resistenza, e forza.La tenuità del refe marmoreo ci
richiama, invece, all’inesistente e all’indefinito, alle immagini immateriate e innaturali, a giochi
bizzarri di luce popolanti la stranezza di un mondo fantasmagorico.
Ma restava il marmo: la materia nella condensata compagine atomica, che ai sensi con-
trappone la propria impenetrabilità virginea. Eppure i Bizantini riuscirono a togliere alla ma-
teria il suggello della qualità nativa. I Romani, plastici — parlo dei tardi Romani — inaspri-
rono 1’ impressione di resistenza atomica dei corpi solidi, e chiesero al marmo ora lustra du-
rezza, ora granulosa rudità: lastre di metallo battuto, rotondità d’avorio, asperità della materia
greggia. E fu invenzione plastica quella delle incurvate superficie, dorsi dei sarcofago Invano
batte la luce contro il marmo martellato: essa è risospinta inesorabilmente indietro, e si rac-