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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 18.1915

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Fasc. 4
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Rossi, Angelina: Le Sibille nelle arti figurative italiane, [3]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24142#0461

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LE SIBILLE NELLE ARTI FIGURATIVE ITALIANE

(Continuazione e fine, vedi fase, precedente)

TRA le Sibille di Giovanni Pisano e quelle eli Agostino di Duccio sono le quattro Sibille
della porta del Battistero di Firenze, che Michelangelo con ragione disse del Paradiso. Ma
le Sibille del Ghiberti appartengono, secondo noi, a un’altra famiglia, e però ne discorriamo
a parte. Esse non sono le Sibille della Passione, ma quelle dell’Annunciazione e del Natale,
e nel tempo stesso son quasi simbolo dell’antico mondo pagano, il quale, benché meno chia-
ramente del popolo eletto, mira anch’esso a un’èra nuova, segna anch’esso una nuova uma-
nità. Il Natale è l’alba di questa nuova èra; le Sibille e i Profeti che la prenunziano, assu-
mono in certo modo un significato storico, un senso assai più lato che prima non abbiano. Le
une e gli altri si associano non soltanto alle scene singole della vita di Cristo, ma a tutta la
storia del Vecchio Testamento, che in sè stringe e aduna la storia di tutte le nazioni gentili.
Profeti e Sibille non sono più soltanto esseri privilegiati, ma sono come l’anima collettiva
dell’umanità, che tende inconsapevolmente alla sua liberazione. Il Vecchio Testamento era per
il medio evo un’anticipazione allegorica del Nuovo. Nella porta del Battistero, del tempio del
Precursore, dovevano quindi essere scolpite le storie del Vecchio Testamento, nelle quali
quell’anticipazione appariva più chiara. I Profeti e le Sibille, considerando quei fatti come
segni e indizi, avevano divinato la nuova umanità, alla quale il Battista aveva schiuso la porta
e segnato la via. A chi si meravigli di questa associazione delle Sibille con i fatti del Vec-
chio Testamento, osserviamo che la storia di Roma e d’Italia proprio allora, nei primi cioè
del secolo XV, cominciò a connettersi con quella del popolo eletto.1 E notiamo che il pro-
gramma di lavoro, proposto ai concorrenti all’onore di gettare nel bronzo le porte del Batti-
stero, fu opera di Leonardo Bruni, uno di quegli storici e umanisti, ai quali il Paganesimo
cominciava a rivelarsi in tutto il suo valore e splendore, e che maggiore doveva quindi essere
in lui la tentazione di ricongiungere Roma e l’Italia all’Oriente. 11 Vecchio Testamento diven-
tava così come la storia di tutto il mondo antico.

Secondo il programma del Bruni, sulla porta dovevano effigiarsi venti storie e otto figure

1 L’opinione sostenuta poi dal Giambullari, che la
ingua italiana fosse derivata dall’aramea, e che Giano
fosse-tutt’uno con Noè, non fu che l ’ultima espres-
sione di questa tendenza a collegare Roma, la culla
del Paganesimo, all’Oriente. Nel suo commento ine-
dito al Dittamondo di Fazio degli Uberti, appunto
nei primi del secolo xv Guglielmo Capello assicurava,
sulla fede di Esiodo (!), che Noè, dopo che i figliuoli
ebbero edificata la torre di confusione, « entrò in nave
in furia et arrivò presso al luocho ov’è Roma ».
(Graf, Roma netta memoria e nelle immagini del

Medio Evo, voi. i°, pag. 84). Non possiamo far a
meno di rilevare la conformità di queste connessioni
con quella mescolanza di saghe greche e giudaiche,
che dal 30 libro degli Oracoli Sibillini passò nei primi
scrittori cristiani, e per cui Sem, Cam e Jafet furono
identificati con Crono, Titano e Giapeto. Ricordiamo
pure che la Sibilla è figliuola di Noè non solo nei
Sibillini, ma anche in parecchie leggende popolari si-
ciliane. (V. Neri, Le tradizioni italiane della Sibilla,
in Studi medievali. Torino, Loescher, T9T3).
 
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