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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 18.1915

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Fasc. 2
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Ricci, Corrado: Gli Aspertini
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https://doi.org/10.11588/diglit.24142#0120

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86

CORRADO RICCI

E questo «Galeazzo finto», era il ritratto di Galeazzo Bentivoglio, sul quale anche il
portoghese Hermico Caiado scrisse l’epigramma riferito dal Malvasia:

Prisca sitos /alide/, laude/ pictura Magistros.

Quos bona posteri/as vivere morie faci/.

Duin modo Guidonem cunctis praeponai, ei illuni
Efferat in Coelum laudibus istud opus.

Narnque decus patriae duplex Galeatius L Trbis
Perpetuo vivis tutus ab interi/u. 1

L’Achillini, come s’è visto, testimonia che Guido morì giovine. Il Vasari aggiunge:
« Perchè egli desiderava di venire stimato in quella città come era stato il suo maestro, studiò
e si sottomise a tanti disagi, che si morì di trentacinque anni ».2

Dal testamento di Giovanni Antonio Aspertini risulta che Guido era già morto nel 1507;
ma è consentito portare il termine ancora più indietro in grazia d’un sonetto scritto precisa-
mente in morte di lui da Diomede Guidalotti e inserito in un suo libro pubblicato sin dal-
l’aprile 1504.3 E, se essa avvenne tra il 1502 e il 1503, s’avrà appunto da riferire la nascita
di Guido al 1467 circa.

Il sonetto, piuttosto confuso, dice:

Per la morte di Guido pittore bolognese.

Meritamente si dolea di morte
lassare il vel mortai sì tosto Guido,
che or, inalzando di sua fama il grido,
tempo era di abitar l’umana corte.

Tolse mille alme alle voraci porte,
già che pittura fece in esso il nido,
onde interrotto dal suo fato infido,
non potea non doler de la sua sorte.

La virtù grande invitò morte al sdegno
che avendo visto per l’antiche carte
di mille alme mancar sua patria e regno,
non puotè comportar di Guido or l’arte,
pensando che ’l suo stato avria men degno,
restando dei suoi vinti in terra parte.

Amico, come si vide, nacque sette anni più tardi, ma dopo avere studiato col padre e nella
bottega del Francia e fors’anche in quella del Costa e aver eseguito qualche dipinto come il
quadro da lui medesimo chiamato tirocinium (di cui parlerò più avanti) e il San Sebastiano,
ricordato già nell’anno 1500 (tra i dipinti e i libri lasciati in Pesaro da Giovanni Sforza fug-
gito all’avvicinarsi di Cesare Borgia) e bruciato pochi anni dopo,4 se ne andò a Roma.
L’Achillini infatti scrive:

Amico, suo fratei, con tratti e botte
tuttol campo empie con le sue anticaglie
retratte dentro alle romane grotte.

Bizar più che reverso di medaglie

e, ben che gioven sia, fa cose dotte

che con gli antiqui alcun vuol che se uguaglie.

Un’altra laude sua non preterisco
de la prestezza del pennel stupisco. 5

1 Felsina pittrice, I, pag. ri8.

2 Vite, III, pagg. 147-148.

3 Tyrocinio de le cose volgari (Bologna, 1504),

pag. 55. Il sonetto fu riprodotto pure dal Malvasia,
Op. cit., I, pag. 118.

4 Biblioteca Oliveriana di Pesaro. Ms. mini. 387.
Inventario redatto il 21 ottobre 1500. «El San Seba-
stiano de man de Amico ». Comunicazione del dott. I m-
berto Gnoli.

5 Guidicini, I, pag. 404.
 
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