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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 18.1915

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Fasc. 2
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Longhi, Roberto: "Battistello", [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24142#0160

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ROBERTO BONGHI

che difficilmente vien meno: nella scenetta esagonale del San Giuseppe svegliato dall’Angelo
v’è un appiombo elegante, un fruscio serico che prelude a Cavallino, nelle composizioni più
ieratiche, come nella Concezione o nella Coronazione di Maria, una dignità di plastica signorile
che prepara la sostenutezza spagnola del Monrealese : e con quanta esattezza non curata tutto
ciò quadra e si assesta! con quanta agiatezza ogni panno si piega e s’indossa!

Nelle lunette Caracciolo riacquista anche meglio le sue doti : egli sa che cosa sia una
lunetta e non mostra d’altronde d’abusare di questa sua scienza nella ATativita (fig. 15), dove
nulla è più naturale che l’inchinarsi dei pastorelli dall’alto: d’altronde, come tutto ciò è dipinto!
o almeno come potrebbe esserlo, s’egli non volesse schiarire sempre più la sua plastica! Un
nero sul bianco, l’amaranto di una manica valgono ancora qualcosa nella pittura: e il cielo e
le rupi e le erbe non hanno mai nulla della cartapesta di Corenzio.

Nella Circoncisione (fig. 16) poi, è anche più evidente il valore quasi sintetico della strut-
tura di fronte alla quale uno che di pittura s’intende, ha esclamato con ragione: pare un
Andrea del Castagno! Sono cose che si comprendono di volo e su cui non bisogna insistere
troppo. Ma chi avrebbe pensato nel 1630 a far sentire come fulcro del volume emisferico
della lunetta il candelabro raggiato dal centro? Chi avrebbe ancora compreso il valore pittorico
di un tendone spiegato, o avrebbe creato una figura come quella, rasa d’inclinazioni, della
Vergine, o l’altra neo-plastica del San Giuseppe panneggiato, come voi vedete?

V’è dello schema che per un nonnulla non raggiunge la grandezza. Non la raggiunge,
tuttavia.

E le è addirittura discosto nel quadro dell 'Assunta (fig. 17) che dall’altare venne al Museo
(n. 353) e che, rinchiuso nella cifra più monotonamente centrale e statuaria, supera l’oleografia
solo perchè ad onta degli sforzi dell’artista per avvilirsi bolognesemente, vive in esso qualche
parte di rilievo: e qualche ombra caravaggesca spolvera ancora qualche testa di stucco. La cosa
d’altronde si può spiegare anche con la esecuzione di qualche allievo, che il De Dominici
crede certa nelle Storie della Vergine, di poco posteriori, in una cappella a San Diego e dove
tuttavia un’Assunta nel centro della volta ripete, sì, la composizione del Museo, ma con maggior
forza ed intonazione, mentre un tondo della Nascita della Vergine sopra l’altare stupisce ancora
con l’inesauribile fecondità degli aggruppamenti visuali del maestro.

Il quale circa gli stessi anni, perchè a concorrenza con Lanfranco che non si stabilisce a
Napoli prima del 1631, varia ancora una volta questo soggetto a lui caro — la Nascita della
Vergine— e lo compone in un forte riquadro al centro della volta dell’Oratorio dei Nobili
presso il Gesù Nuovo. E qui, poiché lo vuole, Battistello si rivela ancora nella sua forma
migliore di plasticità attenta, di aggruppamento ritmato, di riduzione sistematica dal colorismo
composito di Caravaggio.

Una determinazione scarna di paese a casamenti bigi e a verdeggiature monocrome: un
riquadrare netto di stipiti chiari, di mura, di tende: ecco nell’alto il gruppo concluso del Padre
Eterno sostenuto da angioli mirabilmente annodati, in toni di carni chiare, di panni scialbi :
in basso la scena pausata ai lati da due figure, ed una è quella di Giovacchino in panneggio
violastro chiaro con racconti di plasticità superba nel turbante abbendato, nel manto rin-
calzato sotto 1’ avambraccio col motivo romanico-giottesco che arde tuttavia dopo molti
secoli il suo valore intatto: ritmata verso il centro dalle ancelle affrontate nei gesti di
tastar l’acqua con la mano pendula dall’ avambraccio polposo, o di procedere lenta con la
bimba accolta fra le braccia: mentre verso il fondo Sant’Anna (con iconografia novissima, se
non erro) si stacca dal letto ed è trattenuta a stento nel desiderio di attendere, essa, alla cura
dell’ infante.

L’opera è in luce chiarissima e scialbata di toni, ma tuttavia d’intonazione perfetta, e se
non avesse il torto di essersi lasciata assediare dai velluti soffiati a contropelo delle figure di
Lanfranco, ciò che sarebbe come vedere accosto accosto un brano murale di Puvis de Chavannes
e uno di Delacroix, anche questa sistematica decolorazione fermata in contorni lenti e gravi e non
troppo distraenti, anche questo modesto canto fermo di bianchi schietti che per il loro pre-
 
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