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GUGLIELMO PACCHIONI
La miniatura che rappresenta la Pentecoste (fig. i) e l’altra che figura XAscensione, (fig. 23)
riassumono in sè, tipicamente, ciascuna delle due tendenze e possono quasi servire di con-
fronto a tutte le altre.
Anche le lettere sono di forma ancora prettamente gotica nei primi fascicoli ove troviamo
predominare le miniature del primo tipo, sono invece già chiaramente classicheggianti negli
altri ove si vedono le miniature della seconda tendenza.
Alla metà del Quattrocento le due scuole, la vecchia e la nuova, si contendevano ancora
il terreno specialmente nella miniatura, naturalmente tradizionalista e conservatrice più delle
così dette arti maggiori.
In una nota del secolo XVIII, veduta dal Matteucci,1 il messale era attribuito a due mi-
niatori, dei quali «uno si accosta al Durer » e «l’altro sente assai del raffaellesco ». Secondo
l’anonimo scrittore, il codice sarebbe stato miniato circa il 1430 per disposizione testamen-
taria del vescovo Giovanni Degli Uberti, al quale dovrebbe appartenere lo stemma che si vede
nel fregio marginale della pagina ove è figurata l’Ascensione. Amanuense ne sarebbe stato un
Giovanni da Bologna.
Senonchè, a parte la cervellottica idea di mettere in relazione le nostre miniature col Durer
e con Raffaello, è da notare che questo Giovanni da Bologna lavorava ancora nel 1504 2 e
non è quindi molto probabile che potesse, più di settantanni prima, aver atteso alla scrittura
di un così importante codice e, soprattutto, che lo stemma degli Uberti, quale appare nella
raccolta compilata dal D’Arco,3 non ha relazione alcuna con quello che vediamo nel messale.4
Notiamo poi che Giovanni degli Uberti era già morto al principio del 1428 e il suo succes-
sore ne occupava la carica, per elezione di papa Martino V, il 26 maggio dello stesso anno.5
Negli inventari dell’archivio capitolare (purtroppo assai recenti) il codice è invece indi-
cato: « Missale quod incipit a ia dominica adventus cum stemmata Card. Gonzagae » .6
Nello stemma si vedono infatti alcuni elementi che, a prima vista, possono essere facil-
mente confusi con la impresa assunta, insieme col titolo di Marchese, per concessione del-
l’imperatore Sigismondo, da Gianfrancesco Gonzaga nel 1433. Un esame, però, anche super-
ficiale basta a stabilire che lo stemma del nostro codice non può in nessuna maniera essere
identificato con lo stemma gonzaghesco di questo periodo. Lo scudo è diviso in quattro campi,
dei quali il primo ed il quarto recano l’aquila imperiale, il secondo e il terzo il leone boemo.
L’aquila è rossa in campo bianco, il leone è nero in campo d’oro. Attorno al primo e al terzo
campo corre una sottile lista (brijure) a segmenti bianchi e neri alternati. In cuore è portato
lo stemma originario della famiglia: una semplice impresa di quattro scacchi, due bianchi e
due neri alternati.7
Con la indicazione di «Card. Gonzagae» gl’inventari del Capitolo del duomo intendono
probabilmente di alludere a Francesco Gonzaga a cui la chiesa deve la maggior parte delle
sue suppellettili preziose. In tal caso il compilatore dell’ inventario ha scambiato il codice di
cui stiamo parlando per un’opera del secolo XVII. Errore di cui non dobbiamo troppo mera-
vigliarci se, come sembra, la tradizione relativa al messale era totalmente perduta.
Lo spazio per la miniatura di uno stemma è lasciato in bianco anche a piedi di un altro
1 V. Matteucci, Le chiese artistiche del Mantovano.
2 Id., op. cit.
3 D’Arco, Le famiglie illustri mantovane. Ms. esi-
stente nell’Archivio di Stato di Mantova.
4 Non sappiamo donde il Matteucci abbia desunto
la notizia circa l’operosità di questo calligrafo al prin-
cipio del secolo xvi, nè se egli possa avere equivo-
cato con Giovanni Antonio da Bologna miniatore che,
proprio negli anni attorno al 1432, miniava le Decre-
tali ora nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Con-
fronta, Toesca, op. cit., pag. 251.
5 D’Arco, Storia di Mantova, voi. VII, pag. 58.
6 Archivio del Capitolo, Inventari.
7 Lo stemma centrale parrebbe doversi identificare
con quello di una famiglia lombarda ; la brijure che
contorna i due quarti trasversali dello scudo indica
un ramo cadetto della famiglia. Queste indicazioni
debbo alla cortesia del march, dott. Luigi di Canossa
e del conte Attilio Murari di Verona, a entrambi i
quali sono lieto di rendere qui vive grazie.
GUGLIELMO PACCHIONI
La miniatura che rappresenta la Pentecoste (fig. i) e l’altra che figura XAscensione, (fig. 23)
riassumono in sè, tipicamente, ciascuna delle due tendenze e possono quasi servire di con-
fronto a tutte le altre.
Anche le lettere sono di forma ancora prettamente gotica nei primi fascicoli ove troviamo
predominare le miniature del primo tipo, sono invece già chiaramente classicheggianti negli
altri ove si vedono le miniature della seconda tendenza.
Alla metà del Quattrocento le due scuole, la vecchia e la nuova, si contendevano ancora
il terreno specialmente nella miniatura, naturalmente tradizionalista e conservatrice più delle
così dette arti maggiori.
In una nota del secolo XVIII, veduta dal Matteucci,1 il messale era attribuito a due mi-
niatori, dei quali «uno si accosta al Durer » e «l’altro sente assai del raffaellesco ». Secondo
l’anonimo scrittore, il codice sarebbe stato miniato circa il 1430 per disposizione testamen-
taria del vescovo Giovanni Degli Uberti, al quale dovrebbe appartenere lo stemma che si vede
nel fregio marginale della pagina ove è figurata l’Ascensione. Amanuense ne sarebbe stato un
Giovanni da Bologna.
Senonchè, a parte la cervellottica idea di mettere in relazione le nostre miniature col Durer
e con Raffaello, è da notare che questo Giovanni da Bologna lavorava ancora nel 1504 2 e
non è quindi molto probabile che potesse, più di settantanni prima, aver atteso alla scrittura
di un così importante codice e, soprattutto, che lo stemma degli Uberti, quale appare nella
raccolta compilata dal D’Arco,3 non ha relazione alcuna con quello che vediamo nel messale.4
Notiamo poi che Giovanni degli Uberti era già morto al principio del 1428 e il suo succes-
sore ne occupava la carica, per elezione di papa Martino V, il 26 maggio dello stesso anno.5
Negli inventari dell’archivio capitolare (purtroppo assai recenti) il codice è invece indi-
cato: « Missale quod incipit a ia dominica adventus cum stemmata Card. Gonzagae » .6
Nello stemma si vedono infatti alcuni elementi che, a prima vista, possono essere facil-
mente confusi con la impresa assunta, insieme col titolo di Marchese, per concessione del-
l’imperatore Sigismondo, da Gianfrancesco Gonzaga nel 1433. Un esame, però, anche super-
ficiale basta a stabilire che lo stemma del nostro codice non può in nessuna maniera essere
identificato con lo stemma gonzaghesco di questo periodo. Lo scudo è diviso in quattro campi,
dei quali il primo ed il quarto recano l’aquila imperiale, il secondo e il terzo il leone boemo.
L’aquila è rossa in campo bianco, il leone è nero in campo d’oro. Attorno al primo e al terzo
campo corre una sottile lista (brijure) a segmenti bianchi e neri alternati. In cuore è portato
lo stemma originario della famiglia: una semplice impresa di quattro scacchi, due bianchi e
due neri alternati.7
Con la indicazione di «Card. Gonzagae» gl’inventari del Capitolo del duomo intendono
probabilmente di alludere a Francesco Gonzaga a cui la chiesa deve la maggior parte delle
sue suppellettili preziose. In tal caso il compilatore dell’ inventario ha scambiato il codice di
cui stiamo parlando per un’opera del secolo XVII. Errore di cui non dobbiamo troppo mera-
vigliarci se, come sembra, la tradizione relativa al messale era totalmente perduta.
Lo spazio per la miniatura di uno stemma è lasciato in bianco anche a piedi di un altro
1 V. Matteucci, Le chiese artistiche del Mantovano.
2 Id., op. cit.
3 D’Arco, Le famiglie illustri mantovane. Ms. esi-
stente nell’Archivio di Stato di Mantova.
4 Non sappiamo donde il Matteucci abbia desunto
la notizia circa l’operosità di questo calligrafo al prin-
cipio del secolo xvi, nè se egli possa avere equivo-
cato con Giovanni Antonio da Bologna miniatore che,
proprio negli anni attorno al 1432, miniava le Decre-
tali ora nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Con-
fronta, Toesca, op. cit., pag. 251.
5 D’Arco, Storia di Mantova, voi. VII, pag. 58.
6 Archivio del Capitolo, Inventari.
7 Lo stemma centrale parrebbe doversi identificare
con quello di una famiglia lombarda ; la brijure che
contorna i due quarti trasversali dello scudo indica
un ramo cadetto della famiglia. Queste indicazioni
debbo alla cortesia del march, dott. Luigi di Canossa
e del conte Attilio Murari di Verona, a entrambi i
quali sono lieto di rendere qui vive grazie.