LA CATTEDRALE D'AREZZO
389
nate a tondi bottoni, motivo caro, ai cistercensi.
Dalla imposta dell’arco nella monofora della tribuna
si muove una cornice — che già abbiamo notata
- c corre lungo il fianco meridionale. Quella che
cinge i pilastri d’angolo dell’abside, è a doppio or-
dine eli foglierelle stilizzate e ricurve a palla; questa
ad una fila di piccoli modiglioni sagomati a scozia
sormontati da una piatta ornativa a losanghe spar-
tite, concetto puramente geometrico che ci richiama
ai cistercensi. Le bifore un po’ tozze, semplici nelle
modanature presentano qualche somiglianza con
quella di recente tornata in luce nella facciata della
badia di Santa Fiora. Sono più evolute, più vivaci
nel loro dicromismo toscano ravvivante il mono-
tono colore della pietra serena, ma il loro autore
sembra che si sia orientato verso l’arte cistercense
e domenicana che 1 suoi successori seguiranno così
fedelmente. Mentre dunque la. parte costruttiva del
Duomo, non ostante le numerose riprese, apparisce
agli occhi nostri mirabilmente armonica, quella or-
namentale esterna subisce una variazione col variare
dei maestri che vi attesero.
Un’ultima questione si connette alla Cattedrale
d’A rezzo : quella che riguarda il nome del suo ar-
chitetto: Tacendone del tutto i documenti, si ricorse
al Vasari. Il quale dopo aver ricordato nella ruta di Arnolfo che maestro Lapo fece agli
Aretini il vescovado,2 così scrisse nella Vita di Margaritone: «Onde, tornato in Arezzo,
l’anno 1275, dietro alla corte del papa Gregorio, che tornando d’Avignone a Roma passò
per Firenze, se gli porse occasione di farsi maggiormente conoscere : perchè, essendo quel
papa morto in Arezzo, dopo l’aver donato al comune trenta mila scudi, perchè finisse la
fabbrica del vescovado, già stata cominciata da maestro Lapo e poco tirata innanzi; ordi-
narono gli Aretini oltre all’aver fatto per memoria di detto pontefice in vescovado la cap-
pella di San Gregorio, dove col tempo Margaritone fece una tavola, che dal medesimo gli
fusse fatta di marmo una sepoltura nel detto vescovado; alla quale messo mano, la con-
dusse in modo a fine, co farvi il ritratto del papa di naturale, di marmo e di pittura,
ch’ella fu tenuta la migliore opera che avesse ancora fatto mai. Dopo rimettendosi mano
alla fabbrica del vecovado, sla condusse Margaritone molto innanzi, seguitando il disegno
di Lapo ; ma non però se le diede fine : perchè rinnovandosi pochi anni dopo la guerra
tra i Fiorentini e gli Aretini, il che fu l’anno 1289, per colpa di Guglielmo Ubertini
vescovo e signore di Arezzo, aiutato dai Tarlati di Pietramala e dai Pazzi di Valdarno,
come che male glie 11’avvenisse, essendo stati rotti e morti a Campaldino; furono spesi
in quella guerra tutti i danari lasciati dal Papa alla fabbrica del Vescovado. E perciò
fu ordinato poi dagli Aretini, che in quel cambio servisse il danno dato del contado (così
chiamano un dazio) per entrata particolare di quell’opera: il che è durato sino ad oggi
e dura ancora».3
È stato necessario riportare per intero il lungo passo vasariano perchè possiamo
2 Vasari, Le Vite ; Ed. Sansoni, T, pag
3 Op. e voi. cit;, pag. 363-64.
1 L’Enlart, op. cit., pag. 220, afferma che nei ca-
pitelli si vede un influsso della scuola gotica tedesca.
. 2S2.
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nate a tondi bottoni, motivo caro, ai cistercensi.
Dalla imposta dell’arco nella monofora della tribuna
si muove una cornice — che già abbiamo notata
- c corre lungo il fianco meridionale. Quella che
cinge i pilastri d’angolo dell’abside, è a doppio or-
dine eli foglierelle stilizzate e ricurve a palla; questa
ad una fila di piccoli modiglioni sagomati a scozia
sormontati da una piatta ornativa a losanghe spar-
tite, concetto puramente geometrico che ci richiama
ai cistercensi. Le bifore un po’ tozze, semplici nelle
modanature presentano qualche somiglianza con
quella di recente tornata in luce nella facciata della
badia di Santa Fiora. Sono più evolute, più vivaci
nel loro dicromismo toscano ravvivante il mono-
tono colore della pietra serena, ma il loro autore
sembra che si sia orientato verso l’arte cistercense
e domenicana che 1 suoi successori seguiranno così
fedelmente. Mentre dunque la. parte costruttiva del
Duomo, non ostante le numerose riprese, apparisce
agli occhi nostri mirabilmente armonica, quella or-
namentale esterna subisce una variazione col variare
dei maestri che vi attesero.
Un’ultima questione si connette alla Cattedrale
d’A rezzo : quella che riguarda il nome del suo ar-
chitetto: Tacendone del tutto i documenti, si ricorse
al Vasari. Il quale dopo aver ricordato nella ruta di Arnolfo che maestro Lapo fece agli
Aretini il vescovado,2 così scrisse nella Vita di Margaritone: «Onde, tornato in Arezzo,
l’anno 1275, dietro alla corte del papa Gregorio, che tornando d’Avignone a Roma passò
per Firenze, se gli porse occasione di farsi maggiormente conoscere : perchè, essendo quel
papa morto in Arezzo, dopo l’aver donato al comune trenta mila scudi, perchè finisse la
fabbrica del vescovado, già stata cominciata da maestro Lapo e poco tirata innanzi; ordi-
narono gli Aretini oltre all’aver fatto per memoria di detto pontefice in vescovado la cap-
pella di San Gregorio, dove col tempo Margaritone fece una tavola, che dal medesimo gli
fusse fatta di marmo una sepoltura nel detto vescovado; alla quale messo mano, la con-
dusse in modo a fine, co farvi il ritratto del papa di naturale, di marmo e di pittura,
ch’ella fu tenuta la migliore opera che avesse ancora fatto mai. Dopo rimettendosi mano
alla fabbrica del vecovado, sla condusse Margaritone molto innanzi, seguitando il disegno
di Lapo ; ma non però se le diede fine : perchè rinnovandosi pochi anni dopo la guerra
tra i Fiorentini e gli Aretini, il che fu l’anno 1289, per colpa di Guglielmo Ubertini
vescovo e signore di Arezzo, aiutato dai Tarlati di Pietramala e dai Pazzi di Valdarno,
come che male glie 11’avvenisse, essendo stati rotti e morti a Campaldino; furono spesi
in quella guerra tutti i danari lasciati dal Papa alla fabbrica del Vescovado. E perciò
fu ordinato poi dagli Aretini, che in quel cambio servisse il danno dato del contado (così
chiamano un dazio) per entrata particolare di quell’opera: il che è durato sino ad oggi
e dura ancora».3
È stato necessario riportare per intero il lungo passo vasariano perchè possiamo
2 Vasari, Le Vite ; Ed. Sansoni, T, pag
3 Op. e voi. cit;, pag. 363-64.
1 L’Enlart, op. cit., pag. 220, afferma che nei ca-
pitelli si vede un influsso della scuola gotica tedesca.
. 2S2.