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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 18.1915

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Fasc. 4
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Rossi, Angelina: Le Sibille nelle arti figurative italiane, [3]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24142#0488

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454

ANGELINA ROSSI

verginità. Collocata coni’ è di fronte alla invasata Delfica, offre con questa un magnifico con-
trasto. E tranquilla, serena, quanto l’altra è agitata, convulsa. Seduta di profilo, in atto di
molle riposo, con la gamba destra sulla sinistra, col braccio destro che scende in lieve arco
lungo il fianco, sfoglia con la sinistra distesa un libro aperto su di un leggìo, come per con-
frontare un passo già letto con un altro che sa essere in fine del volume, che nessun segreto
le nasconde. A lei, la più famosa e la più sapiente delle veggenti, son già note le sorti del-
l’uman genere. Essa dunque non s’affatica come le sue sorelle nella lettura che le è oramai
familiare. Riposa, in vece, ma mostra nel viso dolce, e pur velato di un’ombra di mestizia,
il suo accoramento per la dolorosa verità che le si è scoperta. Raramente è dato di vedere
miste in un’insieme così solenne la bellezza fisica e la profondità del pensiero. Il suo vesti-
mento, ammirevole per l’armonia dei colori, è di una strana complicatezza. In testa ha un
piccolo berretto, che appena le ricopre il capo. Un bianco chitone, dalle maniche rimboccate
fin sotto le ascelle, le lascia scoperte le braccia, in cui non è nulla dell’esagerazione musco-
lare delle altre figure; una tunica si attacca strettamente al corpo per mezzo di una cintura
sotto il seno; un mantello le lambisce le spalle e le ricopre le gambe. Anche in questo ab
bigiiamento è visibile l’influsso classico, ma è una classicità trasformata, adattata allo spirito
eminentemente creatore di Michelangelo. In diretta relazione con la Veggente è il putto paf-

Fig. 34 — Raffaello : Sibille. Roma, Chiesa di Santa Maria della Pace.

futello in atto di accendere una lampada, per rischiarare le sacre pagine su cui la Sibilla
volge lo sguardo. Era la lampada sacra del sapere, che la Grecia per la seconda volta accen-
deva nel mondo. Era la luminosa filosofia di Platone, che si contrapponeva alla tenebrosa
filosofia orientale e dava a! Cristianesimo un nuovo e inaspettato rincalzo. L’Eritrea non è la
monaca di Agostino di Duccio; è la sapienza che si congiunge con la fede, a quel modo che
nel volume eterno si compongono in unità di sistema i vari testi che la Sibilla vien comparando.

Se h Eritrea, solenne come una Pallade classica, par che si compiaccia della contem-
plazióne del vero, ancor che triste, la Delfica, in vece (fig. 32), da quella contemplazione,
significata da uno dei putti che dietro di lei legge nel libro aperto, passa ad una intui-
zione improvvisa, che la riempie di orrore e di terrore. Non senza ragione essa è la più
giovine delle veggenti. In lei la cognizione diventa azione; il fine dell’uomo non è solo cono-
scere, e neppure amare soltanto in Dio il sommo bene, ma operarlo anche a costo del sagri-
ficio di sè. Sola ritratta di prospetto, dal viso arrotondato, dai grandi occhi sbarrati e intenti
in una visione che mai si dileguerà, essa è ancora invasa dallo spirito del buono Apollo, che
Michelangelo non meno di Dante invocò e che a entrambi fu largo del suo favore. Anche
alla Delfica la Grecia forma intorno come un’aureola morale. Il suo abito è perfettamente clas-
sico: un chitone con due cinture, di cui la superiore termina con una fibbia sotto l’ascella
sinistra, un mantello che le si allarga dietro le spalle formando arco sulla schiena, un velo
che le copre completamente il capo, lasciando sfuggire sulla nuca alcuni riccioli ondeggianti.
Nella sinistra stringe la pagina sibillina, mentre volge la testa a destra, in contrasto evidente
con la direzione del resto del corpo. Pare che Michelangelo, e l’abbiamo visto nella Sibilla
 
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