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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 6.1903

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Fasc. 2
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Venturi, Adolfo: Maestri Ferraresi del Rinascimento
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https://doi.org/10.11588/diglit.24148#0144

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ADOLFO VENTURI

triplice fiore del giglio, il libro e financo quel sollevamento speciale della tonaca, che si vede
nel quadro del Louvre. Contro quest’ipotesi sta il carattere della testa — che è quello ruvido
d’un vecchio, di un ottuagenario, proprio del beato Giacomo, non del sentimentale, delicato
santo padovano — e sta la notizia della provenienza della pittura da San Niccolò di Ferrara,
dove la videro il Baruffaldi, il Barotti, Cesare Cittadella ed altri. Da San Niccolò il quadro
passò nella raccolta Sacchetti, poi nella Costabiliana e infine nella collezione Santini.

Il Baruffaldi lo disse una delle prime fatiche di Cosmè, ma basta osservare le ante del-
l’organo della cattedrale ferrarese (fig. 2 e 3), ora esposte nel coro della chiesa, eseguite
prima del 1469 dal pittore, per ascrivere la tela agli ultimi anni della sua attività artistica.
A questo proposito ricordiamo che appunto in San Niccolò, nel 1484, Cosmè Tura aveva
dipinto una pala d’altare per commissione di Francesco Naselli, segretario ducale, e quindi,
o il quadro sia quello del vescovo Costabili o l’altro del Naselli, fu eseguito da Cosmè verso
la fine della sua vita artistica. E ciò può sembrar manifesto anche dal sentimento attenuato
del colore, come generalmente si riscontra nei lavori degli artisti invecchiati. Sembra a mo-
nocromato, tanto è monotono il colorito ; e la nota biancastra domina in ogni parte, anche
nel mare del fondo, con gli scogli lumeggiati di bianco, a forma di monticelli dai cocuzzoli
elevati, reminiscenza delle montagne a gironi del Mantegna, già usate ne’ fondi da Cosmè,
come nel San Giorgio della cattedrale di Ferrara.

Il paesaggio ferrarese, che trovò nel Dosso tanta varietà e intensità di verdi, non si
era ancora determinato nel Tura, che usò spesso di dipingere i monti a strati, innalzantisi
come fasci di piante e rigonfiantisi a un tratto in cornici sassose, per poi elevarsi' e ri-
gonfiarsi di nuovo; e intorno fece il suolo a lastre ineguali, a scaglioni, tra i quali spun-
tano piante isterilite. Per l’artista, che viveva nelle valli circumpadane, tornava troppo arduo
rendere l’aspetto di colline e di monti, varietà e contrasti naturali. Anche nel quadro San-
tini, il paese, formato dà strani cumuli di terra, ci mostra come Cosmè, nella lunga e operosa
sua vita, non avesse imparato a dipingere i fondi delle sue figure. Una volta, nella grande
ancona di Berlino, il paese, che si vede attraverso la base del trono della Vergine, si pre-
senta come un ricordo, chiaro, una descrizione vera d’un tratto dispiaggia marina; un’altra
volta, nel tondo del Benson a Londra, la luce rosseggiante, su cui spiccano le figure, ci dà
un giusto effetto di tramonto. Questi due risultati pittorici, a cui giunse, quasi per caso, Cosmè
Tura dipingendo il paesaggio, furono poi prontamente raccolti da Ercole de’Roberti nel
dipingere una riva nel quadro di Brera e nel far risaltare la figura di San Giovanni Bat-
tista del Museo di Berlino sui rossi vapori del tramonto; ma, in generale, Cosmè Tura non
annetteva importanza al paesaggio, e lo dipingeva secondo una convenzione più propria di
un miniatore che di un osservatore come lui, così penetrante, irrequieto e audace.

La tormentata figura del beato Giacomo della Marca ci permette di toglierne a Cosmè
un’altra che gli è stata sempre attribuita, il San Girolamo della Galleria di Ferrara. Non vi
è in quel dipintoT irrequietezza di Cosmè, che contrae i lineamenti delle sue teste dai forti
zigomi, e stringe, incolla, batte, appiccica le vesti metalliche sui corpi, e fa tendere i mu-
scoli, inturgidire le vene, stirar sulle ossa la cute delle figure. Quel San Girolamo sculturale
della Galleria di Ferrara è opera di Francesco del Cossa, non di Cosmè: le pieghe ondulate
della tonaca e, della sopraveste non hanno riscontro con le pieghe delle vesti ottenute dal
Tura come sbalzando lastre metalliche, ma hanno bensì riscontro con quelle del San Gia-
cinto di Londra,- opera del Cossa. Le mani con le dita aperte e le brevi unghie sono proprie
del Cossa, e così pure le piegoline fitte fitte delle maniche. Più di tutto, nel San Girolamo
è il carattere potente, monumentale dell’arte di Francesco del Cossa.

Dopo che tante attribuzioni di dipinti al Cossa sono irreparabilmente cadute, e che
niuno più cita come suoi neppure i quadri di San Petronio, siamo lieti di rivendicare a
lui il solenne San Girolamo della Galleria di Ferrara. Non è la prima volta che si sono
scambiate le opere di Cosmè con le altre del Cossa, e viceversa; lo scambio si è fatto,
anche in questi ultimi anni, nel Museo di Berlino, assegnandosi al Cossa una figura mu-
 
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