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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 2
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Bollettino bibliografico
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0192

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ió8

BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

torio senese ai piedi del monte Arniata, si vuole per una
vecchia tradizione che debba le sue origini a Carlo Magno,
tradizione resa attendibile dai diplomi imperiali a quell’ab-
bazia concessi. Nel 1153 un privilegio di papa Anastasio IV
la libera da ogni ingerenza episcopale e laica e le concede
il fonte battesimale: nel 1291 una bolla di Nicolò IV la
la conferisce ai frati Guglielmiti; nel 1462 Pioli l’aggrega
insieme a tutti i suoi beni alla mensa del vescovo di Mon-
talcino.

Ad ognuno di questi dati capitali per la sua storia, cor-
risponde presso a poco il tempo di costruzione di ciascuno
degli edilizi onde si compone. Infatti una trifora della
sala capitolare e la cripta sotto la sacrestia sono concorde-
mente attribuiti al periodo carolingio ; al secolo xn si attri-
buisce la chiesa; alla fine del xm secolo (1291?) assegna
giustamente il Canestrelli il portale della facciala che l’En-
lart propende a credere invece della fine del secolo ante-
riore; ai tempi di Pio II appartengono infine le sale di abi-
' tazione occupanti le parti superiori della navata laterale
destra e la margella del pozzo.

Grande importanza nel monumento, che segue la plani-
metria benedettina secondo il tipico esempio del monastero di
San Gallo (secolo rx), presentano la cripta preromanica e la
chiesa romanica. La prima semplicemente spartita in tre navi
da quattro colonnette con capitelli a piramide tronca, ci con-
ferma che la attuale sacrestia che le è sopra, rettangolare con
un’abside a semicerchio, era la chiesetta carolingia, non una
parte di essa come vorrebbe 1’ E., cioè il braccio sud del tran-
setto. Lo studioso francese crede che la chiesa primitiva si
estendesse dove è l’attuale per posare sopra la piccola con-
fessione dove si trova la tomba di Sant’Antimo, alla quale
nella chiesa romanica corrisponde l’altar maggiore. Bisogne-
rebbe provare, per affermar ciò, che la piccola confessione
preesistesse a tutti gli edilizi, assunto di difficile se non di
impossibile dimostrazione ; ed è più logico ammettere che
il corpo del santo fosse collocato quando fu fondata l’ab-
bazia, nella cripta preromanica e che dopo fosse trasportato
nella piccola confessione all’uopo costruita sotto il tempio
attuale. La sacrestia credo dunque che sia la chiesa caro-
lingia, ciò che del resto è confermato dalla sua perfetta
orientazione in ossequienza alle regole liturgiche.

La chiesa è un solenne monumento a tre navi iniziato
intorno al 1118 (come fa supporre una charta lapidaria di
quell’anno, incisa nell’abside), con otto valichi per parte
sormontati da bifore che si aprono su gallerie superiori. Un
nono valico serve da piedritto all’abside semicircolare, alla
quale gira intorno un deanibulatorium su cui si aprono tre
cappelle raggianti. L’iconografia caratteristica alle chiese ro-
maniche di Francia, fu ripetuta in costruzioni italiane poste-
riori come la SS. Trinità di Venosa (1150), la chiesa di
Santa Maria a pie’ di Chienti (illustrata da R. Romani, Ca-
merino, 1912) e il duomo di Acerenza (1280). d'ale pianta
fa ricordare al C. la questione sulla origine francese o ita-
liana dell’ambulacro semicircolare, origine che dovrebbe es-
sere nostrana se fin dal x secolo fu usata nel Santo Stefano
di Verona e nel duomo d’Ivrea, mentre in Francia la prima

chiesa di tal tipo, sarebbe stata la scomparsa basilica di
San Martino a Tours (xi secolo). Ad ogni modo non si può
negare nel Sant’Antimo la derivazione francese delle cap-
pelle raggianti che ebbero per prototipo il già citato San
Martino di Tours. Ed altre sono le influenze d’oltr’alpe :
l’esterno della tribuna nella struttura costruttiva e nell’ag-
gruppamento delle masse ricorda varie chiese francesi del-
l’xi e xn secolo dell’Alvergna e delle regioni vicine, fra cui
quelle di Orcivai, di Nótre Dame du Port a Clermont, di
San Fiorio di Poitiers, ecc. Il coronamento delle cappelle
con una cornice molto depressa sorretta da mensole ove sono
scolpite teste o un seguito di tondini intagliati a foggia di
trucioli di legname (copeaux\ e da colonne pesanti su alti
zoccoli, è alvergnate. Le finestre con gli stipiti ornati nel
loro angolo esterno da un tondino che gira anche intorno
alla concavità dell’arco, con archivolto costituito da una fa-
scia risaltata sul fondo e ornata a denti di sega trapezoidali,
sono la traduzione di un motivo della scuola monastica di
Normandia, che ritorna nelle archeggiature cieche all’interno,
lungo il muro dell’abside. Inoltre il portico costruito e poi
rovinato, davanti alla facciata, ricorda quelli delle chiese
cistercensi francesi (nota 1’E.), di Pointigny ( Jonne) e Sept-
Saulx (Marne). Francese è anche la fattura di qualche ca-
pitello, come quello ben noto di « Daniele fra i leoni », quan-
tunque in molti d’essi prevalga il sentimento dell’architet-
tura lombarda del xn secolo. E caratteristiche italiane ar-
chitettoniche e decorative alle francesi si avvicendano o si
uniscono: il campanile, situato a destra della tribuna, è una
robusta torre lombarda; gli archi delle tre finestre nel deam-
bulatorium sono dicromi, secondo il sistema nostro, a cunei
di travertino e di alabastro; l’interno è diviso da dodici co-
lonne alternate a quattro pilastri di pianta cruciforme (le
chiese francesi hanno soltanto pilastri), destinati a sostenere
grandi arcate attraverso la nave maggiore che non furono
mai costruite ma che avrebbero servito a completare l’edi-
ficio, come ben dimostra un grafico dell’E., e a collegarlo
e renderlo più robusto seguendosi l’esempjo di San Miniato
al Monte. Di tipo italiano è finalmente la copertura delle
volte sulle navate minori. Italiano fu infiliti il primo archi-
tetto della chiesa, il monaco Azzo de’ Porcari di Lucca (il
cui nome si legge sull’architrave della porta maggiore), che
seppe concepire un edilizio ove si equilibrano mirabilmente
le tradizioni artistiche locali con le novità portate di Francia
dai monaci dell’ordine benedettino.

L’abbazia di Sant’Antimo, di cui ho tentato di richiamar
qui le principali caratteristiche, era degna veramente della
bella monografia del Canestrelli. Egli ha diviso il suo studio
seguendo il metodo usato per il San Galgano, in una parte
storica ricca di erudizione e di documenti inediti, e in una
parte artistica nella quale compie una descrizione minuziosa
e accurata del monumento nulla trascurando, e tutto ripro-
duce in nitide fotografie e in disegni che occupano venti-
quattro tavole. Alla dotta ed estesa monografia del C., la
breve illustrazione dell’Enlart (che udimmo all’ultimo Con-
gresso di Storia dell’Arte), serve di utile completamento per
le nuove osservazioni che lo studioso francese ha potuto
 
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