PIERO DEI FRANCESCHI
E LO SVILUPPO DELLA PITTURA VENEZIANA
ER la formazione di Giovanni Bellini — la questione più appassionante del quattrocento
pittorico — io mi richiamo da un lato alla ricostruzione della sua prima attività quale
1’ hanno condotta prima Lionello e, recentemente, Adolfo Venturi, dall’altro alla distinzione
netta — che riguarda anche il suo periodo maturo — tra belliniani ed alvisiani, tentata da Ber-
nardo Berenson nel suo «Lorenzo Lotto». Dopo la confusione eccessiva che si faceva fra le
due correnti, ciò che significava porre Antonello e Bellini in una relazione fallace, la distinzione
parve portare una ineffabile limpidezza. Che cosa resta in piedi di essa dopo che lo stesso
Berenson è venuto a infliggerle un colpo apparentemente così grave come quello di ricono-
scere che la Santa Giustina della collezione Bagatti-Valsecchi creduta di Alvise è invece di Gio-
vanni Bellini?
In realtà non ne risulta che ridotta a giuste e mediocri proporzioni quella personalità di
Alvise che, ingigantita, pesava su di noi un poco come un incubo ; risulta inoltre dimostrato che
solo Giovanni Bellini era in grado di fare a Venezia dei capolavori di mantegnismo riformato:
ma non muta tuttavia quasi per nulla la giustezza della distinzione tra Alvisiani e Belliniani per
quanto riguarda le possibili relazioni delle due scuole con Antonello.
È certo che dopo un periodo Mantegnesco, o in genere padovano, in cui Alvise ci dà
delle secche e mediocri produzioni e Bellini qualche capolavoro, entrambi mutano stile, il
primo per procedere verso forme assunte da Antonello, e che devono perciò tenere inevita-
bilmente del suo simbolismo sferico o cilindrico, Bellini invece, quasi contemporaneamente, per
uno stile a piani di forma sempre più larghi, in cui la linea nervosa Mantegnesca si di-
stende maggiormente e muta il suo valore, per poter lasciare il campo a effetti coloristici vieppiù
caldi e riposati, mentre gli effetti della scuola di Antonello e d’Alvise restano di colore intenso
ma freddo e smaltato la cui intonazione invece che dorata è argentina, e finisce nel colorismo
magnifico ma neutro di Lotto.
D'altra parte Bellini già nel periodo primo non è così puro mantegnesco da non prepa-
rarsi al suo secondo stile. Ma fino a che punto lo prepara, e in qual modo?
Per aiutare a risolvere questo problema porrò una questione che può sorgere ora sol-
tanto che la restituzione a Bellini della Santa Giustina ha ridotto Alvise alla sua aurea me-
diocrità, liberandoci da molti pregiudizi.
Domando allora se non sia possibile che un altro equivoco non sia nato del tutto analogo
a quello della Santa Giustina. E cioè: era in grado Alvise, o peggio Bonsignori, di creare quel
polittico di San Giovanni e Paolo (fig. 7) in cui — almeno per certe parti -— è il fiore di
un Mantegnismo riformato?
(Continuazione e fine, vedi fascicolo precedente)
L'Arte. XVII, 31.
E LO SVILUPPO DELLA PITTURA VENEZIANA
ER la formazione di Giovanni Bellini — la questione più appassionante del quattrocento
pittorico — io mi richiamo da un lato alla ricostruzione della sua prima attività quale
1’ hanno condotta prima Lionello e, recentemente, Adolfo Venturi, dall’altro alla distinzione
netta — che riguarda anche il suo periodo maturo — tra belliniani ed alvisiani, tentata da Ber-
nardo Berenson nel suo «Lorenzo Lotto». Dopo la confusione eccessiva che si faceva fra le
due correnti, ciò che significava porre Antonello e Bellini in una relazione fallace, la distinzione
parve portare una ineffabile limpidezza. Che cosa resta in piedi di essa dopo che lo stesso
Berenson è venuto a infliggerle un colpo apparentemente così grave come quello di ricono-
scere che la Santa Giustina della collezione Bagatti-Valsecchi creduta di Alvise è invece di Gio-
vanni Bellini?
In realtà non ne risulta che ridotta a giuste e mediocri proporzioni quella personalità di
Alvise che, ingigantita, pesava su di noi un poco come un incubo ; risulta inoltre dimostrato che
solo Giovanni Bellini era in grado di fare a Venezia dei capolavori di mantegnismo riformato:
ma non muta tuttavia quasi per nulla la giustezza della distinzione tra Alvisiani e Belliniani per
quanto riguarda le possibili relazioni delle due scuole con Antonello.
È certo che dopo un periodo Mantegnesco, o in genere padovano, in cui Alvise ci dà
delle secche e mediocri produzioni e Bellini qualche capolavoro, entrambi mutano stile, il
primo per procedere verso forme assunte da Antonello, e che devono perciò tenere inevita-
bilmente del suo simbolismo sferico o cilindrico, Bellini invece, quasi contemporaneamente, per
uno stile a piani di forma sempre più larghi, in cui la linea nervosa Mantegnesca si di-
stende maggiormente e muta il suo valore, per poter lasciare il campo a effetti coloristici vieppiù
caldi e riposati, mentre gli effetti della scuola di Antonello e d’Alvise restano di colore intenso
ma freddo e smaltato la cui intonazione invece che dorata è argentina, e finisce nel colorismo
magnifico ma neutro di Lotto.
D'altra parte Bellini già nel periodo primo non è così puro mantegnesco da non prepa-
rarsi al suo secondo stile. Ma fino a che punto lo prepara, e in qual modo?
Per aiutare a risolvere questo problema porrò una questione che può sorgere ora sol-
tanto che la restituzione a Bellini della Santa Giustina ha ridotto Alvise alla sua aurea me-
diocrità, liberandoci da molti pregiudizi.
Domando allora se non sia possibile che un altro equivoco non sia nato del tutto analogo
a quello della Santa Giustina. E cioè: era in grado Alvise, o peggio Bonsignori, di creare quel
polittico di San Giovanni e Paolo (fig. 7) in cui — almeno per certe parti -— è il fiore di
un Mantegnismo riformato?
(Continuazione e fine, vedi fascicolo precedente)
L'Arte. XVII, 31.