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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 3
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Longhi, Roberto: Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura Veneziana, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0233

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PIERO DEI FRANCESCHI E LO SVILUPPO DELLA PITTURA VENEZIANA 199

A questo, ripeto, non servirono i Senesi. Simone tende talvolta verso larghezze di super-
ficie ma perde il senso dello spazio come in alcuno dei suoi freschi d’Assisi o nel trittico
degli Uffizi ; altri come i Lorenzetti per darci un senso più convincente di forma sono costretti
a valersi dei mezzi di Giotto, che, come tutti sanno, inizia quella corrente capitalissima del-
l’arte fiorentina, per cui il colore è d’importanza secondaria: e così in un’alternativa di quasi
bizantinismo o di tendenze al chiaroscuro — cioè all’antitesi del colore — la scuola senese
prosegue innanzi nel '400, fino a Sassetta in cui, ad onta degli sforzi per dare spazio e colore
ad un tempo — come nel polittico di Asciano — la vittoria resta pur sempre all’elemento
lineare.

Che cos’era dunque necessario per passare dal delizioso colorismo del gotico al grande
colorismo? Non certo l’invasione calligrafica dello stile internazionale del primo Quattrocento.
Neppure bastavano gli sforzi di Masolino che se abbandona talora il suo colorismo superfi-
ciale che non procede oltre i suoi precursori del Trecento è solo per volgersi verso intenti
di plasticità nel senso del chiaroscuro tradizionale Giotto-Masaccio.

Messo quindi da parte anche Masolino, e poiché s’è voluto fin qui che l’arte fiorentina da
Giotto a Michelangelo non abbia degnato di uno sguardo il colore, si dovrebbe concludere che
il delizioso colorismo gotico avrebbe stagnato col decadere della scuola senese fino a rinascere

— indipendentemente da ogni anello storico — come grande colorismo a Venezia. Eppure esso
nacque dapprima a Firenze nel primo ventennio del Quattrocento, quando alcuni pittori troppo
innamorati dello spazio per ritornare a una spazialità superficiale, troppo innamorati del colore
per buttarsi al chiaroscuro inteso ad effetti di spazialità illusoria, compresero che uno solo
era il mezzo per esprimere pittoricamente ad un tempo forma e colore: la prospettiva.

L’idea Vasariana del naturalismo artistico del primo Quattrocento fiorentino ripresa e
ribadita da Burckhardt ha servito non solo a far credere che il compito dei fiorentini fosse
l’imitazione del vero, e non la trasfigurazione pittorica di esso, ma anche a confondere insieme
o tutt’al più a distinguere come sottospecie di naturalismo due correnti fiorentine del tutto
opposte: quella formale che 'da Masaccio e da Andrea del Castagno procede fino a Miche-
langelo, e che si basa essenzialmente su mezzi di plasticità chiaroscurata e di linea funzionale,
e quella prospettica.

La corrente prospettica è stata anzi condannata come tendenza, peggio che naturalistica,
scientifica. Eppure non è così. Si può anzi dimostrare ch’essa è l’elemento più astrattamente
idealistico che fosse fino allora apparso nell’arte.

Il sussidio che la scienza dà alla resa prospettica, non è un sussidio a priori ma a poste-
riori e sorge dopo che l’artista ha visto prospetticamente; come l'architettura per quanto si
avvalga di dati verificabili su misura, non cessa per questo di essere un’arte, così avviene della
prospettiva pittorica. Essa perciò non è naturalismo, perchè tutti sanno che la prospettiva nella
realtà non esiste che in determinate situazioni — ciò che fa supporre già nell’artista una scelta
di situazioni — neppure è scienza, ma si serve della scienza, come di un elemento puramente
tecnico, non più importante della chimica dei pigmenti colorati.

Ma in che cosa si risolve allora la prospettiva come arte, cioè come visione pittorica?
Per il problema di forma si risolve evidentemente in una divisione spaziale di superfici regolari.
Infatti la necessaria convergenza delle linee verso il foco prospettico organizza ogni forma

— inorganica o no — sul filo raso dei piani prospettici. E una tendenza architettonica nella
pittura, insomma, e perciò determina la posizione e la forma stessa delle cose entro la nettezza
di contorni sintetici che non valgono più come linea — floreale o funzionale non importa —
ma soltanto come limite di superfici accoste. Quando pensiate all’apparenza spaziale della pro-
spettiva più semplice quella cioè di una strada di casamenti regolari, dove i due triangoli
laterali dei caseggiati, il triangolo superiore del cielo e quello inferiore della strada compon-
 
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