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MICHELE B1ANCALE
in realtà hanno agito — avrebbero dovuto dissolvere il suo stile d’epigono foppesco e farne
o un insulso impiastricciatore o un genio. Si pensi un po’ a Lorenzo Lotto. L’eclettismo —
ma sarebbe discussione lunga — si ha quando levarie influenze restano solute zebrando quasi
dei loro vari caratteri le opere di chi le accetta; ma chi si sommerge in esse, e poscia di
sotto al guazzetto emerge franco e pulito, pensate pure che qualcosa l’ha salvato; e questo
qualcosa è lo stile.
Anche il Moretto s’è salvato, ma il suo stile lungi dal segnare la totalità degli elementi
di una natura liccamente dotata, è una specie di legaccio che gli serve a riorganizzarsi una
personalità che conosce talvolta il clima superiore delle cime, ma che spesso s’immelma nella
bassura. Dissolversi dunque, no ; ma ricostituirsi di sopra una base sicura, neppure. Le novità
— e ne ha di sicuro — urtano il fascio tenuto da quel cappio stilistico e non passano oltre.
Solo perciò il Moretto non è un vero innovatore, e si può sorridere affibbiandogli il titolo
di precursore ch’è gente, come ognuno sa, che vede lontano ma che ha l’anchilosi — il pas-
sato — alle ginocchia.
Il tracollo doveva subirlo chi, come il Moroni, tentava d’organizzarsi su quella crosta
lucida che nascondeva tanti posticci; ma egli, per fortuna, si trovava all’inizio della sua carriera,
libero e vergine. Che cosa poteva accettare dell’arte del Moretto che portava tanti elementi
di dispersione stilistica? Non certo la materia di tradizione, ch’egli non interpetrò ma copiò
per un certo tempo, finché, compreso il principio luministico del suo maestro, si ricollocò di
fronte al vero per darne una più nuova interpetrazione.
* * *
Abbiamo dovuto con la più grande rapidità ripercorrere tutto lo sviluppo dell’arte moret-
tiana, perchè la sua importanza, rispetto a tutta la pittura posteriore, non era stata in nessun
modo notata dagl’infiniti elogiatori del senso romantico, del carattere di umile bontà, dello
intenso sentimento cristiano che penetrano tutta la produzione dell’artista bresciano. La sua
importanza, per lo storico, è identica a quella del Lotto, del Savoldo, di Callisto Piazza da
Lodi e in seguito del Moroni, tutti quanti trasformatori dell'ideale artistico veneto e tutti
quanti, più e meno chiaramente, creatori di quei motivi, che ripresi e sviluppati sino alle loro
estreme conseguenze, furono le idealità maggiori del Seicento italico. Nell’ultim; parte di questo
lavoro ritorneremo su questi motivi pittorici elementari ma così ricchi di sviluppi e di applicazioni
impreviste; trattiamo ora del Moroni non ancora come ritrattista, ma come dipintore di soggetti
religiosi. In questa sua prima maniera è già in germe tutto il Moroni posteriore. È necessario
perciò fermarci ad esaminarne la sua opera con cui s’inizia la sua carriera d’artista; ma poiché
egli ha dipinto quadri sacri fino al 1578, anno della sua morte, così ci converrà di tener separata
la sua produzione che, per intenderci, chiameremo fantastica, da quella, di ben altro interesse,
di ritrattista, pur notando nei suoi quadri più tardi d’argomento sacro quei progressi che una
maggiore indipendenza dei suoi maestri e la pratica del ritratto inevitabilmente determinavano
in loro.
{Continua).
Michele Biancale.
MICHELE B1ANCALE
in realtà hanno agito — avrebbero dovuto dissolvere il suo stile d’epigono foppesco e farne
o un insulso impiastricciatore o un genio. Si pensi un po’ a Lorenzo Lotto. L’eclettismo —
ma sarebbe discussione lunga — si ha quando levarie influenze restano solute zebrando quasi
dei loro vari caratteri le opere di chi le accetta; ma chi si sommerge in esse, e poscia di
sotto al guazzetto emerge franco e pulito, pensate pure che qualcosa l’ha salvato; e questo
qualcosa è lo stile.
Anche il Moretto s’è salvato, ma il suo stile lungi dal segnare la totalità degli elementi
di una natura liccamente dotata, è una specie di legaccio che gli serve a riorganizzarsi una
personalità che conosce talvolta il clima superiore delle cime, ma che spesso s’immelma nella
bassura. Dissolversi dunque, no ; ma ricostituirsi di sopra una base sicura, neppure. Le novità
— e ne ha di sicuro — urtano il fascio tenuto da quel cappio stilistico e non passano oltre.
Solo perciò il Moretto non è un vero innovatore, e si può sorridere affibbiandogli il titolo
di precursore ch’è gente, come ognuno sa, che vede lontano ma che ha l’anchilosi — il pas-
sato — alle ginocchia.
Il tracollo doveva subirlo chi, come il Moroni, tentava d’organizzarsi su quella crosta
lucida che nascondeva tanti posticci; ma egli, per fortuna, si trovava all’inizio della sua carriera,
libero e vergine. Che cosa poteva accettare dell’arte del Moretto che portava tanti elementi
di dispersione stilistica? Non certo la materia di tradizione, ch’egli non interpetrò ma copiò
per un certo tempo, finché, compreso il principio luministico del suo maestro, si ricollocò di
fronte al vero per darne una più nuova interpetrazione.
* * *
Abbiamo dovuto con la più grande rapidità ripercorrere tutto lo sviluppo dell’arte moret-
tiana, perchè la sua importanza, rispetto a tutta la pittura posteriore, non era stata in nessun
modo notata dagl’infiniti elogiatori del senso romantico, del carattere di umile bontà, dello
intenso sentimento cristiano che penetrano tutta la produzione dell’artista bresciano. La sua
importanza, per lo storico, è identica a quella del Lotto, del Savoldo, di Callisto Piazza da
Lodi e in seguito del Moroni, tutti quanti trasformatori dell'ideale artistico veneto e tutti
quanti, più e meno chiaramente, creatori di quei motivi, che ripresi e sviluppati sino alle loro
estreme conseguenze, furono le idealità maggiori del Seicento italico. Nell’ultim; parte di questo
lavoro ritorneremo su questi motivi pittorici elementari ma così ricchi di sviluppi e di applicazioni
impreviste; trattiamo ora del Moroni non ancora come ritrattista, ma come dipintore di soggetti
religiosi. In questa sua prima maniera è già in germe tutto il Moroni posteriore. È necessario
perciò fermarci ad esaminarne la sua opera con cui s’inizia la sua carriera d’artista; ma poiché
egli ha dipinto quadri sacri fino al 1578, anno della sua morte, così ci converrà di tener separata
la sua produzione che, per intenderci, chiameremo fantastica, da quella, di ben altro interesse,
di ritrattista, pur notando nei suoi quadri più tardi d’argomento sacro quei progressi che una
maggiore indipendenza dei suoi maestri e la pratica del ritratto inevitabilmente determinavano
in loro.
{Continua).
Michele Biancale.