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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 5-6
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Biancale, Michele: Giovanni Battista Moroni e i pittori bresciani, [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0366

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MICHELE BIANCALE

mano, anche se da Paris Bordone — nel quadro della Fabbriceria di Parre —egli desume qualche
nuovo elemento tipologico e il modo di piegare un po’ di maniera, e se tende ad allungare
lo squadro delle sue figure, in uno scopo decorativo, come nella pala della Fabbriceria di Fino
al Monte, in cui i due Santi Paolo e Andrea, più allungati che non siano i santi morettiani,
spingono nell’alto la composizione che s’inarca con un senso non sgradevole di novità. Motivi
questi accidentali che non valevano a ridare figura stilistica ad un artista che, per ricompor-
sela, doveva battere una via ben diversa da quella dell’ imitazione di tutti gli artisti del suo
tempo. Il ritratto. Non avveniva forse la stessa cosa per il Salviati e per il Bronzino? Se non
che questi perpetuavano anche nei loro ritratti quelle loro qualità negative entro cui si scio-
glieva depauperandosi la grande corrente dell’arte fiorentina, mentre che il Moroni si rifaceva
davvero uno stile considerando il quadro come da collocarvi una sola figura, in un dato atteg-
giamento, in una precisa direzione luminosa. Pratica severa e salutare, come quella che esclu-
deva ogni distrazione letteraria, obbligando la facoltà dell’artista alla ricerca di pochissimi motivi,
ma essenzialmente pittorici.

E si comprende anche — anzi era inevitabile — che una scuola provinciale, come la bre-
sciana, in cui tante tendenze artistiche erano concorse a formare un eclettismo stilistico, quale
riscontrasi specialmente nel Moretto, dovesse chiudere il suo periplo espressivistico con un
artefice di ritratti, che sono come una serie lunghissima di motivi pittorici atti tutti quanti
a stimolare una natura, come quella del Moroni, ad una nuova potenza stilistica, con l’aiuto
necessario di quella realtà che, talvolta, traluce nelle opere.

Tale paziente e direi disperato esercizio di atteggiare un personaggio, in un luogo chiuso,
centinaia di volte, doveva spingere il Moroni a costruire in ogni modo lo spazio, a graduare
l’effetto luminoso, a interpetrare la forma appunto in dipendenza di luci svariatissime, deter-
minando una corrente artistica per cui si considerasse l’opera non come un’astrazione lette-
raria ma si scorgesse in essa un motivo semplice, d’uno straordinario valore dinamico rispetto
al rilievo, alla luce, al colore.

Michele Biancale.
 
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