Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

DOI Heft:
Fasc. 5-6
DOI Artikel:
Gerola, Giuseppe: Il restauro dello spedale dei cavalieri a Rodi
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0368

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
334

G. GERO LA

(e denominato Castrum, Castello, Convento o Collachio) ed il terzo più esterno (detto dei
Borghi) per i commercianti europei e per la popolazione indigena, il Buondelmonti ci testi-
monierebbe l’esistenza, a principio del quattrocento, di un altro riparto della città — intermedio
fra il Collachio ed i Borghi —, riservato alle munizioni ed allo Spedale o Infermeria che
dir si voglia.

Comunque fosse di ciò, sta ad ogni modo il fatto che il pio istituto non doveva rispondere
troppo alle esigenze cui era destinato,1 se, disponendo le sue ultime volontà, il granmastro Antonio
Fluviali nell'ottobre 1437 ebbe a riservare una apposita somma di danaro alla fabbrica di una
nuova infermeria : « E sentendosi molto aggravato — scrive lo storico dell’Ordine — fece il suo
dispropr lamento, nel quale lasciò et ordinò che del danaro suo s’edificasse una nuova infermeria
in Rodi ; e di ciò lasciò esecutore fra Giovanni Morello prior della Chiesa (e poi arcivescovo
della città) e fra Giovanni Cavaglione gran Comendatore » .2

Il progetto venne ben presto attuato. Chè, sotto il magistero del successore Giovanni
Lastic, il «prior della Chiesa fra Giovanni Morelli..., come esecutore del testamento del gran-
mastro fraf Antonio Fluviano, con licenza del granmastro e del consiglio, cominciò in quest'anno,
eh'era nel mille quattrocento e trentanove, ad edificare la nuova infermeria nella città e convento
di Rodi» A E cinque anni dopo, nel 1444, il castellano d’Emposta Giovanni di Villaraguto stan-
ziava a sua volta per l’infermeria una notevole somma di denaro; 4 mentre il granmastro stesso
sanciva nuove disposizioni per il buon andamento dell’istituto.5

1 L’insufficenza dell’originario spedale è provata al-
tresì dal fatto che verso la fine del secolo xiv l’Am-
miraglio della Lingua d’Italia, Domenico d’Alemagna,
ebbe a fondare un ospizio suppletorio, intitolato a S.Ca-
terina: « Haveva il medesimo ammiraglio fra Domenico
d’Alemagna ... fondata ne’ borghi della città di Rodi,
una chiesa in honore di Santa Caterina con uno spe-
dale: dotando la chiesa e lo spedale supradetto di tre
mulini, posti nel molo del porto dì Rodi, cioè il primo,
il decìmoquarto e il decimonono eh’erano una filiera
di mulini a vento che all’entrata di detto molo si tro-
vava; lasciandogli e applicandogli oltre di ciò molte
case, vigne e altri beni: i quali erano bastevoli a inali-
le nere uno spedale assai comodo e buono. E questo
fece egli affine che la chiesa e lo spedale insieme re-
stassero perpetuo juspadronato dell'ammiraglio della
lingua d’Italia che di tempo in tempo sarebbe : con
conditione ch’egli dovesse provedere d’un huomo da
bene secolare per infermiera e guardiano di detto
spedale; e che mantenere dovesse nella detta chiesa
due capelloni, di buona vita, i quali celebrare doves-
sero per il meno ogni giorno una messa, e con essi
sostentare anco un cherico per servirle ». (Bosto, Del-
l’istoria cit., II, 145). Lo spedale di Santa Caterina,
contrassegnato dagli stemmi degli Ammiragli Dome-
nico d’Alemagna e Costanzo Operti (1516), si con-
serva tuttora, convertito in abitazione privata della
famiglia Alchadef.

2 Bosio, Dell’istoria cit., Il, 209.

! Ibidem, II, 213.

4 « Et ivi fece quella notabile e pia donazione all'in-
fermeria o sia spedale di Rodi della quale negli sta-
bilimenti della Religione al XXIV statuto del titolo
dell’hospìtalità si fa mentione. Haveva questo pio e

veramente religioso cavaliere prestati alla comunità
et a giurati della città di Tortosa nel principato di
Catalogna... cento mila soldi di moneta catalana cor-
rente, et essi obligati s’erano di pagar e... quattro mila
soldi simili ogn’anno di censo... Questa partita adun-
que, insieme col frutto de’ quattro mila soldi ch’ogni
anno se ne cavava, donò egli allo spedale e alla sacra
infermeria, acciocché più comodamente potesse prove-
dere e mantenere le cose necessarie a pellegrini et a
poveri christiani infermi ch'ogni giorno in detta in-
fermeria: si ricoveravano, con espresso patto e condi-
tioiu che i detti cento mila soldi co’ frutti ch’indi si
cavavano per qualsivoglia cagione alienare, vendere
od impegnare mai non si potessero nè convertire in
altro uso, ma che perpetuamente per servizio di detta
infermeria rimaner dovessero», ecc. ecc. (Ibidem, II,
pag. 221).

S Le disposizioni statutarie riguardanti i cappellani
dello spedale, «ut unoquoque die aegro ti missarn au-
diant», dimostrano come fin da allora sulla corsia dei
malati rispondesse una cappellina per la celebrazione
della messa. Ma più significativi, a mostrare la ric-
chezza dell’istituto, sono i regolamenti dello stesso
Lastic relativi agli inventari delle suppellettili : « De
omnibus quoque utensilibus et bonis infirmarle, vide-
licet vasis argenteis, aureis, staneis, eneis, quibusvìs
lectis, coopertoriis, linteaminibus, papillionibus et ce-
teris aptis et deputatis, de omnibus aliis quoque bonis
rebus et utensilibus cuiusvis generis fuerìnt servitio
capelle palatii, camerarum, coquine et aliis officinis
adscrìptis, inventarium authenticum... confidanti). (Sta-
tata Hospitalis Hierusalem. Rornae, 1588, pag. 32 e
33). Del resto ci consta che i Turchi, dopo l’espu-
gnazione del 1522 -« sacrum xecnodochium omni ornata
 
Annotationen