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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 5-6
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Fiocco, Giuseppe: L'Esposizione d'arte Veneziana al Burlington Fine Arts Club di Londra
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0417

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L'ESPOSIZIONE D'ARTE VENEZIANA

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inviata dal conte d’Elgin, opera del periodo romano intorno al 1520, e quella (n. 5) del signor
Otto Beit (che solo differisce dalla precedente per avere nel vasello recato in mano dalla
donna gli occhi che la definiscono una Santa Lucia) ci permette di riconoscere quella come
l’originale da cui fu tratta l’altra che parve al Bode una replica ed è solo una tarda copia
(il Borenius pensa persino a un qualche secentista romano), legnosa e secca di fattura e rozza
di tinte, che può solo aver qualche valore in quanto rivela particolari e tinte, guasti nell’ori-
ginale o affumicati dalle vernici e dal tempo.

Prossimo alle fiorenti forme veneziane e non molto lontano per la bionda opulenza delle
forme, dalla Fornarina, è il ritratto femminile n. 9 della raccolta di Sir Frederick Cook, opera
ben nota, eseguita intorno al 1511, che un tempo passava per riprodurre i lineamenti di Vit-
toria Colonna. Così si volle identificare con Federigo da Bozzolo, solo perchè citato dal
Vasari il bellissimo ritratto (n. 27) inviato dal marchese di Lansdovvne, che riproduce per tre
quarti la maestosa figura con una sottigliezza di Segno derivata da Michelangelo e con bella
e tutta veneziana profondità di colore.

Ricorderò per ultimo il ritratto del cardinale Enckenvoert (il Nincofort del Vasari) del
signor D. Erskine, per l’identificazione del quale non credo vi possano essere dubbi, perchè
sia il colore un po’ spugnoso che la posa raffaellesca assai prossima a quella del Polo del-
1’Ermitage di Pietroburgo ci conducono verso il 1530, cioè dopo il 1523, anno dell’elezione
al cardinalato dell’ Enckenvoert.

Al Cariani, e precisamente al suo periodo maturo, ormai lontano dalle primitive timi-
dezze cimesche, appartengono il caldo ritratto di gentiluomo n. 28, la Resurrezione n. 3 che
passa genericamente per opera di scuola giorgionesca, entrambi della raccolta Benson, e una
Giuditta con la testa di Oloferne (n. 30), inviata da Sir Audley Neeld, pitture tutte discerni-
bili per quell’aria infiammata e per quella mancanza di solidità che il bergamasco ebbe in
comune con il Romanino e con Palma Vecchio, il maggiore suo compaesano, che qui si rico-
nosce in un assai guasto San Giorgio debellante il dragone (n. 7), pure della raccolta Neel,
che per la sottigliezza del colore, fatto di velature sopra velature, ben ricorda il compagno
guerriero della pala di Santo Stefano a Vicenza; in un ritratto di uomo (n. 13, racc. Benson),
assai prossimo al così detto Ariosto della National Gallery di Londra, e più a quello di un
violinista, quasi ignorato, della Galleria Spada a Roma, e in una Sacra Famiglia e santi (n. 32,
racc. Benson) dalle carni arancione e dalle forme rilassate, opera degli ultimi anni del pittore.

Per il vivace accento giorgionesco e per il meraviglioso colorito si fa ammirare il ritratto
di un giovane, tradizionalmente e stranamente noto come quello di una Professoressa di Bo-
logna (n. 17), esposto dalla famiglia Farrer; opera che passò lungo tempo per genuina del
caposcuola veneto finché il Berenson non l’ebbe restituita al suo vero autore: Bernardino
Licinio. Il pittore è poi rappresentato da un melenso gruppo di Lord Kinnaird (n. 33), dal
ritratto di Elena Cappello (n. 53) della contessa di Carlisle, e meglio da un altro di uomo,
firmato e con la data del 1524 (n. 38) inviato dal conte di Brownlow, di colorito sobrio, aureo
e di spirito tutto lottesco.

Bonifacio si fa notare per un’Adorazione dei pastori (n. io) di Sir George Holford e per
una Cerere formosa (n. 23), che con altri tre tondi della raccolta Benson formava la principale
decorazione di una sala del palazzo Giustiniani-Calergi a Padova.

Il posto d’onore spetta però a Tiziano che con la ricchezza e varietà della sua arte
sempre nuova e giovanile, compie la riforma giorgionesca. Lo vediamo dimostrare la sua
virtuosità in un’opera notissima e per lungo tempo battezzata per Giorgione stesso, il ritratto
già nella collezione Meynell-Ingram (n. io), ora del signor Edward Wood, in cui il pittore
sembra voler dimostrare tutta la superlativa abilità del suo pennello dipingendo la vivacis-
sima tela quasi solo a bianco e nero. Non si può però non sentir nell’opera qualcosa di for-
zato e freddo, sia nella posa che nell’esecuzione, così che si ama assai più il ritratto che
passa per rappresentare Alessandro de’ Medici (n. 18) inviato dalla raccolta reale di Hampton
Court, più semplice e profondo nè di molto posteriore all’altro (1511 c.) e la bella e inconscia
 
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