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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 5-6
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Venturi, Lionello: Studii sul Palazzo Ducale di Urbino
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0450

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416

LIONELLO VENTURI

E cioè : la tendenza all'astrazione spaziale, informatrice dell’arte loro, fu il naturale svi-
luppo della civiltà artistica urbinate iniziata da Luciano Laurana, da Piero della I'rancesca, e
anche da Francesco Laurana.

* * *

Per intendere il significato del convegno di questi tre artisti nel Palazzo di Urbino, oc-
corre risalire al momento in cui a P'irenze fu imposta, con rapidità e violenza rivoluzionaria,
l’arte che fu poi detta del Rinascimento, momento dal quale era passato appena mezzo secolo.

E se ai tre nomi suddetti si oppongono Brunellesco, Donatello, Masaccio, subito chi
ricorda le opere una differenza delinea, non di temperamento personale soltanto, ma proprio
di arte. Nella colonna forte, nel particolare decorativo rude, nell’arco serrato e stretto di Bru-
nellesco erano i segni del pensiero lucido e penetrante dell’uomo che addensava logica costrut-
tiva, contro tutti gli sdilinquimenti pittoreschi dei tardi architetti di maniera gotico-fiorita.
Con il chiaroscuro potente e nervoso, con la prospettiva atta a dare alla scena sfondo monu-
mentale, con la linea energica di movimento, or represso ora sfogato, Masaccio gettava la
sfida alle ben carezzate figure di Masolino e più alla calligrafia gotica di Lorenzo Monaco.
Con la padronanza dell’anatomia umana, con la scelta del « contadino » per figurare il Cristo,
con le mosse violente, con lo slancio passionale, con la trovata geniale dell’abbozzo, riusciva
Donatello a fare apparire un manierista sorpassato persino Lorenzo Gbiberti.

Erano naturalmente necessari tre temperamenti siffatti per instaurare il regno delle figure
ben piantate, delle linee nette e preferibilmente orizzontali, della ricerca dello spirito umano
dentro la natura e non sopra di essa, cioè dello studio scientifico, matematico o naturalistico,
anziché dell’abbandono fantastico. E poiché i tempi erano maturi per la linea classica e per
il carattere individuatore della personalità umana, quei tre trionfarono, segnarono per un secolo
la via maestra dell’arte e imposero in tutta l’Italia i motivi classici ch’essi primi avevano adot-
tato ; non imposero affatto, salvo che sui diretti scolari, il loro modo d’interpretare l’arte clas-
sica come libera applicazione della matematica e dello studio della natura ; non imposero cioè
il carattere più intimo e profondo dell’arte loro.

Il fenomeno è tipico nella scultura, perchè nella medesima Firenze l’azione di Donatello
non fu così assoluta, come si è detto sinora, da quando scrisse il Vasari che « dopo la morte
di lui si può dire che suo discepolo sia stato chiunque ha voluto far bene di rilievo».1

I risultati della scultura erano buoni, per via di un progressivo sviluppo da Andrea Pisano
a Ghiberti, anche senza bisogno della rivoluzione donatelliana: si trattava per esempio « delle
porte del Paradiso ». 11 progressivo studio dei mezzi che all’artista derivava dalla conoscenza
della realtà oggettiva non era mai disgiunto dalla conservazione delle linee generali, che la
tradizione recava, in cui inquadrare il maggior senso acquisito della realtà e quindi anche più
svariati mezzi di attuazione delle proprie facoltà creative. Era quello del Ghiberti il lento e
normale sviluppo di tutte le arti precedenti, dell’arte greca per esempio, dell’arte gotica com-
presa. Era lo sviluppo dello stiie, in cui tutto ciò che veniva appreso nella bottega del maestro
si univa indissolubilmente, naturalmente, a ciò che si creava.

Nelle sue prime statue, anche Donatello accenna a un sistema simile, in quelle dove
ancora è uno spunto di linea gotica atteggiante la figura; ma poi la personalità di lui domina
sola. Certo, sarebbe grave errore identificare quella personalità con il realismo. Anzi nessuna
statua del Quattrocento italiano appare il risultato di una profonda trasformazione della realtà,
secondo criteri sintetici, rigorosissimi, quanto il Davide in bronzo del Bargello. Il fatto è che
ogni singola opera, cioè ogni condizione differente d’ispirazione, gli suggerisce uno speciale
stile : ogni tipo è da lui strettamente individuato, come ogni opera è unica nella sua attività,
come egli stesso è unico, in opposizione all’arte anteriore e contemporanea. Perciò, per tale

Vite, Ed. Sansoni, II, pag. 424.
 
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