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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 5-6
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Venturi, Lionello: Studii sul Palazzo Ducale di Urbino
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0453

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STUDII SUL PALAZZO DUCALE DI URBINO

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Ma non la scultura soltanto aveva la doppia tendenza. Infatti non saprei intendere in
che si differenziasse in architettura quello « stile urbinate », che il Geymiiller primo e poi il
Budinich hanno proclamato, dallo stile del Brunellesco e dei suoi, se non appunto nella ten-
denza a sfruttare i motivi brunelleschiani per lasciare spaziare la fantasia, là dove Brunellesco
voleva imporre le pure necessità di ritmica costruttiva. Si consideri l’uso dell’arco : quello di
Brunellesco è stretto; esso deve sopportare un peso, e quindi grosse devono essere le colonne
e a breve distanza. La funzione dell’arco è compiuta a perfezione; nulla di più, nulla di meno
E come si è lontani dal piacere fantastico che
ha trovato l’Orcagna lanciando a sfida le ma-
gnifiche arcate della loggia dei Lanzi. « Diver-
timenti barbari » per la concreta logica brunel-
leschiana. E poiché contemporaneo al Brunel-
lesco non esistette punto un architetto che sa-
pesse prendere le parti della tradizione, come
di fronte a Donatello prese Lorenzo Ghiberti,
il fondamento dello stile architettonico urbinate
è di necessità lo stile del Brunellesco. Tuttavia,
con gli elementi presi da lui; l’armonia degli
spazi tende ad ampliarsi, l’arco pur non volendo
più essere il gioco fantastico dell’Orcagna, prova
piacere a slanciarsi, ritrova una agilità che è
deH’ardimento e non della necessità matema-
tica; gli effetti dell’aggetto riprendono timida-
mente. E quando non più Luciano Laurana,
ma Bramante, sarà il massimo rappresentante
della tendenza, allora sorgerà quella fantastica
successione e sovrapposizione di logge ad ar-
cate, che ancora dai frammenti si può rico-
struire nel cortile del Belvedere. Il Brunellesco
aveva insegnato all’ Italia che architettare voleva
dir costruire e non decorare, e per attuare la sua
volontà ridusse la costruzione alla concretezza
della matematica. Anche per Bramante architet-
tare non voleva dir decorare ; ma costruiva per
il piacere di lanciare curve su rette, e magari, una volta attuato il suo sogno di godimento,
lasciava cader l’edificio. E pur non ebbe mai un compito come la cupola di Santa Maria del Fiore!

jf: rf: iJj

Per la pittura, non occorre insistere sui caratteri di astrazione fantastica che plasmano
l’arte di Piero della Francesca, perchè di recente, in questa medesima rivista, sono stati defi-
niti molto bene da Roberto Longhi. E necessario tuttavia di connettere que’ caratteri con
quelli dell’arte di Luciano e di Francesco Laurana per intendere di quale natura fosse l’ec-
cezionale ambiente artistico urbinate, creato da Federico conte tra il 1458 circa e il 1472.
Architettura, scultura e pittura si univano in Urbino per dire con forme nuove, modificate
su quelle di origine fiorentina, un ideale di puro abbandono fantastico figurativo, che Firenze,
preoccupata da più intensi e profondi problemi umani, non più curava.

E noto quanto Bramante abbia attinto al modello urbinate di Luciano Laurana; meno
conosciuto, ciò che debba Raffaello al Palazzo Ducale.

Non parlo di Timoteo Viti: ciò che del colore e della grazia dei volti di Timoteo si può
rintracciare in alcune opere giovanili di Raffaello, è davvero soltanto il risultato del caso, effi-
 
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