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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 6.1903

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Fasc. 4
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24148#0435

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MISCELLANEA

399

di calce, nel muro soprastante al grand’arco dell’ab-
side di Sant’Agostino a Gubbio. Non avendo ancora
potuto vedere quest’interessante affresco, accennerò
solamente che è stato subito attribuito a Ottaviano
Nelli, anche perchè altri affreschi nelle vele della
volta e nelle pareti della stessa abside, che figurano
la vita di sant’Agostino e di santa Monica, sono stati
sempre attribuiti parte alla mano e parte alla scuola
del Nelli. Del quale si addita anche l’autoritratto, con
barbetta rossa a due punte, somigliante — dicono —
a una figura del coro dei beati nell’affresco testé
scoperto.

Le maioliche di Deruta attendono ancora chi le
ricerchi, le studi e le classifichi in una monografia
metodica e compiuta. Il lavoro certo non è dei . più
facili, perchè esse raramente sono contrassegnate da
marche, perchè i procedimenti tecnici non sono stati
sempre gli stessi, e perchè, tanto per la loro stessa
natura come pel grandissimo credito di cui hanno
sempre goduto, ora si trovano sparpagliate e disperse
in moltissimi luoghi ; senza poi dire che spesso si
possono confondere con quelle d’altre fabbriche, e
specialmente con quelle di Pesaro, cui rassomigliano
nelle vernici e nel colorito. Piace perciò di segnalare
un modesto ma utile contributo alla desiderata mo-
nografia, offertoci, in occasione di nozze, dall’egre-
gio dott. Francesco Briganti, vicebibliotecario della
Comunale di Perugia. In un opuscolo assai breve e
senza pretese, ch’egli intitola Le coppe amatorie del
secolo XVI nelle maioliche di Deruta (Perugia, 1903),
dopo aver accennato alle svariate forme che esse pren-
devano, non solo di vere coppe — delle quali offre
due riproduzioni grafiche.— ma di piatti, di scodelle,
di bacini, di anfore, da offrire alle fidanzate, come
alle spose si offrivano i vasi « gamelii » e alle puer-
pere le cosi dette « impagliate » e, in genere, alle belle
donne le così dette «ballate», il B. ci dice che le fab-
briche derutesi risalgono al secolo xiv, secondo che
risulta da un documento del 1387, trovato da A. Rossi,
e che nei secoli xv e xvi salirono fino a cinquanta
e crebbero tanto d’importanza da far dire a uno storico
perugino che « Deruta forniva le mense di tutta Eu-
ropa, nè mancavano mercanti che da Venezia e da
Ancona ne trasmettessero i prodotti nella Grecia e
nell’Asia». Dalle ricerche archivistiche del B. risulta
poi che il celebre « Frate da Deruta » era un Giacomo
di Tommaso Mancini, il quale ebbe vari figli: Andrea,
Sante, Africano e Filippo, e che le fabbriche dei Man-
cini durarono fino al 1750.

Di alcuni affreschi scoperti nella chiesuola di
Sant’ Elisabetta, a Perugia, resi conto nelle notizie
del fascicolo I-IV di quest’anno : ora posso aggiun-
gere che per le cure del prof. d. E. Picei ne sono
tornati alla luce alcuni altri che in certi punti si ve-

dono anche soprapposti in tre successivi strati d’into-
naco. Qui noterò solo quello della parete di fondo,
rappresentante la Madonna col putto, che tiene nella
manina un uccello che lo becca, e ha alla sua sinistra
sant’Antonio, appoggiato, come di solito, al bastone.
E lavoro piuttosto roz,zo e scorretto di qualche pit-
tore locale che doveva aver sentito l’influenza senese,
anche perchè il volto della Madonna è colorito di
roseo incarnato senza quelle ombre di verdaccio che
primo abolì il senese Pietro Lorenzetti. In basso si
legge:.aoli a. d. m . ccc . xxxx . via

11 coro di San Domenico, in Perugia, elegante-
mente decorato d’intagli e tarsie, già deturpate e scom-
parse sotto vari e densi strati di vernice, ora è stato
ripulito e restaurato dal valente intagliatore W. Mo-
retti ; e così tra i magnifici cori che può vantar Pe-
rugia nelle chiese di San Pietro, di Sant’Agostino, di
Santa Maria Nuova, di San Lorenzo, torna a far bella
mostra di sè anche questo, eseguito dai maestri Po-
limante di Niccolò della Spina, Crispolto da Bettona,
Giovanni Schiano e Antonio da Mercatello, a comin-
ciar dal 1476 fino oltre il 1478.

II tabernacolo dell’olio santo nella chiesa di
Santa Maria di Monteluce, fuor di Perugia, trascu-
rato affatto in più d’una guida, è degno di studio non
solo per la sua epoca, ma più per la bontà del disegno
e l’accuratezza dell’esecuzione. E infatti anche pochi
anni addietro richiamò l’attenzione del dott. G. Gronau,
che se ne occupò in un articolo, Das sogenannte Skiz-
zenbuch des Verrocchìo, nello Jahrbuch der k. preus-
sischen Kunstsammlungèn (1896, voi. XVII). Studiando
il libro di schizzi che prima da parecchi era attri-
buito al Verrocchìo e poi dal Morelli a Francesco
di Simone Ferrucci da Fiesole, allievo del grande
scultore fiorentino, il Gronau concludeva che non può
appartenere nè all’uno, nè all’altro. E sebbene non
sapesse precisarne l’autore, credeva però di poterlo
identificare con quello del detto tabernacolo, che perciò,
secondo lui, non potrebbe essere, come altri avevano
congetturato, il predetto allievo del Verrocchìo. Il
Gronau fondava la sua identificazione sul fatto che
nel libro di schizzi v’è il disegno d’un bambin Gesù
benedicente, che è in tutto simile alla statuetta soste-
nuta da due angeli sopra un calice nel tabernacolo
di Monteluce, e che perciò, secondo lui, dovrebb’es-
serne il modello. Ma il Fabriczy, ne\V Archivio storico
dell’ Arte (1897), notando la gran finitezza di quel di-
segno, credeva che non potesse essere lo schizzo di
una scultura da eseguirsi, bensì la copia esatta d’una
scultura già eseguita, come indubitatamente son copie
anche altri disegni del detto libro. Ora io posso pro-
durre un documento che, se non definisce in tutto la
questione e non rivela, pur troppo, il nome dello
scultore, ci offre però alcune utili indicazioni, onde
 
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