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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 11.1908

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Fasc.3
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Carabellese, Francesco: Il restauro Angioino del castelli di Puglia
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https://doi.org/10.11588/diglit.24153#0245

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IL RESTAURO ANGIOINO

DEI CASTELLI DI PUGLIA

ENTRE la fortuna è stata così avara di gloria con i principi
della casa d’Hohenstaufen stati re di Sicilia, ed ha voluto
pervicacemente perseguitarne la memoria anche dopo la loro
completa disfatta e la morte, disperdendo o distruggendo addi-
rittura gli atti della Cancelleria sveva, è stata poi così benigna
verso la famiglia di Carlo d’Angiò, il quale veniva alla ormai
facile conquista della fortunata terra di Puglia, preceduto dalle
benedizioni della chiesa e dal tradimento fellonesco, che questa
faceva serpeggiare non tra i soli Pugliesi bugiardi, come il
chiamò Dante. E perciò che di quel serto fulgido di grandiose
opere d’arte, di cui Federico II d’Hohenstaufen volle coronare
l’amata terra di Puglia coi castelli o imperiali palagi, da Termoli a Brindisi, da Castel del
Monte a Lagopesole, non si riesce a dire altro di meglio che esso costituisce l’opera più
bella creata ed uscita dalla mente dell’imperatore artista, come Minerva dalla testa di Giove.
Le pochissime notizie che se ne trovano in Riccardo da San Germano e in qualch’altro
cronista, e le altre da attingere al povero frammento, unico avanzo della ricchissima Cancelleria
sveva salvatosi e sopravvissuto nel Grande Archivio di Stato di Napoli, ed ai frammenti
o Excerpta Massiliensia editi dal Winkelmann negli Acta imperli, non danno ancora modo
agli studiosi di fare la storia artistica di quella felice età. Si resta solamente meravigliati,
estatici, ammirando come sia potuta nascere nella mente di Federico una concezione arti-
stica così classicamente giovane e tutta d’un pezzo, come Castel del Monte, o nell’ opera
dell’ignoto artefice, che ha saputo concretare l’ideale d’arte del suo imperiai mecenate, tanto
geniale vitalità di stile, che lascia ancora oggi, pur così mal ridotto, un solco profondo
nell’animo di chiunque recasi a vederlo. Ma, nulla più che un’arcana visione di bellezza che
fu vera realtà, senza riuscir a conoscere quei particolari sulla sua origine e sui costruttori
della fabbrica che sarebbero conquista preziosa per ogni erudito, ma che non servirebbero
ad accrescere o a diminuire il valore estetico dell’insigne capolavoro. Soltanto potrebbe dirsi
che questa mirabile arte aulica, ornamento del Sud italico nell’età sveva, non fu un miracolo
improvviso, ma piuttosto quanto di meglio i maestri locali avevan saputo produrre nell’età
comunale, i cui segni eterni sono impressi sulle cattedrali e chiese nei Comuni di Puglia
dei secoli XI e XII, è .ora aggiogato, spente per sempre le libertà d’una volta, al carro della
politica artistica di Federico II. E il fiore di serra allevato amorosamente alla Corte del
grande precursore dei principi mecenati del Rinascimento, a forza di succhi vitali raccolti già
dal magistero dell’Arte dei nostri Comuni. In questa serra dell’Arte pugliese divenuta ormai
cortigiana si educava, come è noto, il giovanetto, allora anonimo ed ignorato, maestro Nicola
 
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