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MISCELLANEA
móglie, si allontanò dal paese natio, avvicinandosi
alle montagne, e si fissò per qualche tempo a Spi-
limbergo. Di là si spingeva a Valeriano, sulla strada
tra Spilimbergo e San Daniele, e si avvicinava perciò
alla sfera di attività di Pellegrino, il quale sin dal 1491
aveva dipinto a pochissima distanza da Valeriano, a
Villanova. 1 Pellegrino alla fine del 1506 tornò da
Ferrara nel Friuli e vi rimase sino alla fine del 1507.
Per quanto i documenti c'indichino che la dimora friu-
lana di Pellegrino fu per questa volta Udine, in questo
periodo deve porsi rincontro dei due pittori. Effetto
del quale fu la presenza in Ferrara di Giovanni An-
tonio nel 1508.
Ben più importante che la notizia biografica è la
conchiusione stilistica, che si può trarre dall’esame
dell’affresco, poiché esso è il solo mezzo rimastoci
per conoscere quale fosse l’arte del Pordenone prima
del tempo in cui Pellegrino e i Veneziani lo trasfor-
massero. Egli ha voluto incorniciare le figure in tre
nicchie marmoree: ma non è ben riuscito a ombrarle
in modo da renderle concave, nè ad ottenere l’aspetto
del marmo, bensì del legno, poiché i molti colori
usati, il rosso e il verde in modo speciale, mancano
di ogni lucentezza e son forti. Sopra i tre archi delle
nicchie corre un cornicione, su cui poggia una lunetta
con un vaso di fiori. Il San Michele tiene con la si-
nistra la bilancia, e con la destra uria lancia con cui
uccide il demonio. Il volto dell’arcangelo è segnato
con segni grossi che rendono gonfie le guance, grandi
e inespressivi gli occhi ; molto abbondante è la capi-
gliatura ; la corazza è rossa e lascia in parte scoperta
la veste viola.
Due caratteri sunnotati indicano di quale specie è la
tecnica del Pordenone in quest’affresco: l’uso d’in-
quadrare le figure in marmi variopinti, di cercare il
rilievo per mezzo di larghi e ferrei segni ricorda la
tecnica squarcionesca. E ciò non meraviglia, non
perchè in altre parti del Veneto la tecnica squarcio-
nesca non fosse già pienamente superata nel 1506,
ma perchè a Spilimbergo il giovane Pordenone aveva
a modello soltanto le opere di Gian Francesco da
Tolmezzo (per i freschi di Barbeano e Provesano) e di
Pellegrino da San Daniele (per i freschi di Villanova,
oggi distrutti, e di San Daniele). Il primo usava fe-
delmente e poveramente la tecnica squarcionesca :
orbene gli angeli della vòlta di Sant’Antonio a Bar-
beano corrispondono perfettamente per tipo e per
esecuzione al San Michele di Valeriano. Pellegrino
anche nelle parti più antiche dei freschi di San Da-
niele usa anch’egli i metodi squarcioneschi, ma li
supera, forse per influsso di Cima, col sostituire tal-
volta la visione dei piani a quella dei contorni. Il
confronto dunque delle opere sopradette mi ha lasciato
perfettamente convinto che il Pordenone nel 1506
imitasse Gian Francesco ben più che Pellegrino.
Crowe e Cavalcasene1 osservarono già relazioni
esistenti tra Gian Francesco e il Pordenone, a pro-
posito degli affreschi di Vacile e di Colalto. Ma,
come è noto, il Morelli2 si ribellò loro violentemente,
sostenendo che l’educazione del Pordenone si fosse
basata sullo studio di Giorgione e di Tiziano, Un accu-
rato esame della pala di Susegana e dei freschi di
Colalto nel loro graduale sviluppo, citati dal Morelli
a sostegno della sua tesi, gli avrebbe forse impedito
di affermare con tanta sicurezza. In ogni modo è
chiaro che il San Michele di Valeriano conferma in
modo irrefutabile che la prima educazione del Por-
denone fu misera e locale. Solo più tardi il suo in-
gegno gli permise di saltare molte difficoltà tecniche,
e di passare in soli dieci anni dalla maniera squar-
cionesca a quella tizianesca.
Lionello Venturi.
1 Gèschichte der il alien. Malerei, Leipzig, 1876; VI, p. 298 e
segg.
2 Die Galerien zìi Miinchen und Dresden, Leipzig, 1891, p. 51.
Joppi, op. cit.
MISCELLANEA
móglie, si allontanò dal paese natio, avvicinandosi
alle montagne, e si fissò per qualche tempo a Spi-
limbergo. Di là si spingeva a Valeriano, sulla strada
tra Spilimbergo e San Daniele, e si avvicinava perciò
alla sfera di attività di Pellegrino, il quale sin dal 1491
aveva dipinto a pochissima distanza da Valeriano, a
Villanova. 1 Pellegrino alla fine del 1506 tornò da
Ferrara nel Friuli e vi rimase sino alla fine del 1507.
Per quanto i documenti c'indichino che la dimora friu-
lana di Pellegrino fu per questa volta Udine, in questo
periodo deve porsi rincontro dei due pittori. Effetto
del quale fu la presenza in Ferrara di Giovanni An-
tonio nel 1508.
Ben più importante che la notizia biografica è la
conchiusione stilistica, che si può trarre dall’esame
dell’affresco, poiché esso è il solo mezzo rimastoci
per conoscere quale fosse l’arte del Pordenone prima
del tempo in cui Pellegrino e i Veneziani lo trasfor-
massero. Egli ha voluto incorniciare le figure in tre
nicchie marmoree: ma non è ben riuscito a ombrarle
in modo da renderle concave, nè ad ottenere l’aspetto
del marmo, bensì del legno, poiché i molti colori
usati, il rosso e il verde in modo speciale, mancano
di ogni lucentezza e son forti. Sopra i tre archi delle
nicchie corre un cornicione, su cui poggia una lunetta
con un vaso di fiori. Il San Michele tiene con la si-
nistra la bilancia, e con la destra uria lancia con cui
uccide il demonio. Il volto dell’arcangelo è segnato
con segni grossi che rendono gonfie le guance, grandi
e inespressivi gli occhi ; molto abbondante è la capi-
gliatura ; la corazza è rossa e lascia in parte scoperta
la veste viola.
Due caratteri sunnotati indicano di quale specie è la
tecnica del Pordenone in quest’affresco: l’uso d’in-
quadrare le figure in marmi variopinti, di cercare il
rilievo per mezzo di larghi e ferrei segni ricorda la
tecnica squarcionesca. E ciò non meraviglia, non
perchè in altre parti del Veneto la tecnica squarcio-
nesca non fosse già pienamente superata nel 1506,
ma perchè a Spilimbergo il giovane Pordenone aveva
a modello soltanto le opere di Gian Francesco da
Tolmezzo (per i freschi di Barbeano e Provesano) e di
Pellegrino da San Daniele (per i freschi di Villanova,
oggi distrutti, e di San Daniele). Il primo usava fe-
delmente e poveramente la tecnica squarcionesca :
orbene gli angeli della vòlta di Sant’Antonio a Bar-
beano corrispondono perfettamente per tipo e per
esecuzione al San Michele di Valeriano. Pellegrino
anche nelle parti più antiche dei freschi di San Da-
niele usa anch’egli i metodi squarcioneschi, ma li
supera, forse per influsso di Cima, col sostituire tal-
volta la visione dei piani a quella dei contorni. Il
confronto dunque delle opere sopradette mi ha lasciato
perfettamente convinto che il Pordenone nel 1506
imitasse Gian Francesco ben più che Pellegrino.
Crowe e Cavalcasene1 osservarono già relazioni
esistenti tra Gian Francesco e il Pordenone, a pro-
posito degli affreschi di Vacile e di Colalto. Ma,
come è noto, il Morelli2 si ribellò loro violentemente,
sostenendo che l’educazione del Pordenone si fosse
basata sullo studio di Giorgione e di Tiziano, Un accu-
rato esame della pala di Susegana e dei freschi di
Colalto nel loro graduale sviluppo, citati dal Morelli
a sostegno della sua tesi, gli avrebbe forse impedito
di affermare con tanta sicurezza. In ogni modo è
chiaro che il San Michele di Valeriano conferma in
modo irrefutabile che la prima educazione del Por-
denone fu misera e locale. Solo più tardi il suo in-
gegno gli permise di saltare molte difficoltà tecniche,
e di passare in soli dieci anni dalla maniera squar-
cionesca a quella tizianesca.
Lionello Venturi.
1 Gèschichte der il alien. Malerei, Leipzig, 1876; VI, p. 298 e
segg.
2 Die Galerien zìi Miinchen und Dresden, Leipzig, 1891, p. 51.
Joppi, op. cit.