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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 1
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Longhi, Roberto: Orazio Borgianni
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0041

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ORAZIO B ORCI ANNI

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plastici aderenti e gnoccosi che preparano il migliore Valentin; e anche lo stile di Saraceni che con-
fina spesso con un sentimento quasi nordico dell’epidermide delle cose, e si tiene di solito a una meti-
colosa finitezza di pasta che non esclude tuttavia un’impressione di vacuo interiore. D’altra parte questo
artista è talmente trasmutabile da passare dalle grettezze di uno stile d’Elsheimer intristito fino a certe
larghezze di materia pittorica del tutto Veneziana.

Ma lo sviluppo più completo del colorismo zuccherino, delle ombre lucide e chiare, della super-
ficie preziosa e leggera che si compiace voluttuosamente del piegare le stoffe preziose seriche e can-
gianti, è quello che compie in questi anni l’artista pisano Orazio Gentileschi che, di certo, è il più
maraviglioso sarto e tessitore che mai abbia lavorato fra i pittori. Ma quanto più s’intensifica il senso
dell’epidermide tanto più diviene manchevole il senso di spessezza della sostanza pittorica che è affatto
senza direzione. Le sue membra giallognole sfumate con dolcezza è trasparenza infinite nei loro declivi
lentissimi paiono in realtà non pesare più che membra d’alluminio.

Ad ogni modo è notevole il fatto che è questo il momento di raffinamento epidermico e lussuoso
di molti artisti dell’ambiente romano; è in questo periodo che Guido compie le sue figure di velluto
grigioperla della cappella Paolina a Santa Maria Maggiore, e che Domenichino svaria le sue stoffe can-
gianti nei freschi di Grottaferrata. Ed è questa forse, incredibilmente sviata, l’unica eco caravaggesca nei
bolognesi.

Più miseranda è l’interpretazione che, in questo torno di tempo, danno della sostanza pittorica
caravaggesca, i due capoccia artistici romani, Giovanni Baglione e Antiveduto Gramatica. La loro men-
talità è così bassa che intendono la intensificazione di solidità in Caravaggio per durezza particolare
degli obbietti, per fibrosità lignea e nocchiosa.

Venuto il primo fuori dei fondi di bottega del cavalier d’Arpino (che, come già dicemmo, è in questo
periodo ormai un trapassato) e atterrito dalla novità caravaggesca crede di rinnovarsi disponendo grandi
membra legnose entro scorti acri e brutali al sommo, quali negli stessi anni sono ripresi e portati alla
loro forma più facchinesca da Antonio Pomarancio, contrapponendo al rossiccio o al brunito delle carni
grandi cannelloni di panneggi calcinósi, in cui si travasano ignobilmente i maravigliosi bianchi del Ca-
ravaggio. Non parliamo della composizione che costoro non sanno intendere nel Lombardo e che per
le scene complesse li riporta alla iconografia dei coetanei fiorentini. Il secondo, Antiveduto Gramatica,
artista — se così lo possiamo chiamare — di qualche maggior serietà che Baglione ci opprime anche
lui con la stessa brutalità contraffattiva della durezza materiale delle cose, col suo fare realistico a
prova di bomba, senza riguardo, sicuro di sè, grosso, che è pratico, terribilmente pratico nel far le
rivolte de’ panni, i cesti, le corde, i pani, le ova, masserizie e vettovaglie, tutta la suppellettile delle
scene sacre e profane. Frase sintomatica del Mancini!: «eccede (eccelle) nel fare i cappelli ». Eh, si!.
La durezza con cui interpretava-la superiore solidità caravaggesca e la sua forma tagliata con l’accetta
(svisamento dei piani di forma-luce di C.) passa poi ad un senso vacuo e lustro, come su lavagna,
quando alle prime forme innesta quelle dell’Orbetto, il Veronese di talento che non viene a Roma
che per decadere. E tuttavia l’influenza del praticone Gramatica è sufficientemente estesa se riesce in
questi anni ad essere l’intermediaria dello stile caravaggesco presso quel Domenico Fiasella, il meno
dotato e il più amato tra i genovesi del seicènto, la cui affinità di stile con Gramatica sono strettissime.

Queste 'erano adunque, brevissimamente, le sorti dell’arte di Caravaggio nel primo quarto del
seicento, a Roma.

Incompreso ed abbandonato il suo senso della composizione di cui soltanto Caracciolo lasciava
(probabilmente a Roma) alcuni sviluppi arditissimi ma affatto senza seguito fino alla ripresa mirabile
di Mattia Preti, gli artisti operanti a Roma si rivolsero al suo stile plastico come quello che spera-
vano di raggiungere con una semplice innovazione tecnica, mentre necessitava naturalmente un totale
mutamento di visione. Non approdarono a nulla perchè la interpretazione che ne davano sia che dipar-
tendosi dalle prime opere del novatore ne volgessero il senso a un preziosismo sensuale delle superficie
(Manfredi e imitatori nordici, Saraceni, Gentileschi e in piccola parte qualche bolognese), sia che rife-
rendosi alle sue forme compiute lo convertissero, in contraffazione delle materie singole o in generale
fibrosità e scheggiatura di piani lignei (Gramatica, Baglione, ecc.), era pur sempre interpretazione super-
ficiale perche sviando a scopo puramente gradevole o illusorio, cioè primordialmente estetico, il suo
senso della identità nella sostanza pittorica lo svuotava del suo significato creativo.

Cosicché si può ormai affermare e ricordare che l’unica interpretazione profonda, l’unico sviluppo
indipendente del senso della materia caravaggesca, l’unica fusione degna di Venezia e di Caravaggio
prima di Guercino e di Preti è quella che negli stessi anni, in un brevissimo torno di attività ne dava
un pittore quasi ignoto al pubblico, Orazio Borgianni.

L'Arte. XVII, 2.
 
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