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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 4
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Biancale, Michele: Giovanni Battista Moroni e i pittori bresciani, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0325

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GIOVANNI BATTISTA MORO NI E 1 PITTORI BRESCIANI

291

Il Romanino ha sviluppi coloristici larghi e forme grandiose: il Moretto costruisce con
un senso dirò più muscolare intensificando il valore del contorno. In ciò è ancora foppesco :
gambe salde, polsi robusti e squadrati, teste risentite con sicure impalcature ossee: materia
di tradizione.

* * *

Quando la forma s’accusa con rilievo plastico-lineare, il colore non ha più importanza: con
ciò si spiegano le durezze e le oscillaziani di alcuni dipinti morettiani, nei quali permane il
contrasto tra linea e colore.

Come accetta dunque il Moretto l’arte veneta? Egli non si trovava nella posizione del
Romanino che poteva accettarla tutta quanta, forma, composizione e colore : una vera presa
di possesso. Egli si sentiva ligio ad una tradizione ch’era già diventata in lui una quasi
coscienza artistica. L’arte veneta poteva perciò accettarla a condizione di ridurla, alterandola.
Il Romanino, quand’è tutto sviluppato, è un veneto; il Moretto, no. Qui è il punto. L’incer-
tezza degli storici dell’arte, antichi e recenti, nel fissare il carattere dell’arte morettiana, o
come essenzialmente veneta, — palmesca o tizianesca — o come essenzialmente bresciana, è in
sostanza una conseguenza dello smarrimento che coglie il loro giudizio su di essa, che non si
può interpretare intieramente nè come arte puramente coloristica nè puramente disegnativa.
Il Moretto sente che se si ostinasse nella posizione, non dico del Poppa, ma d’un Ferramola,
sarebbe, al suo tempo, un arcaicizzante ; e siccome vive ed opera in provincia con un pittore,
più vecchio di lui, preso già tutto tra Giorgione e Tiziano, modifica l’indirizzo della sua arte,
nel senso che accetta quella ch’era la principale conquista dell’arte veneta dopo Giorgione, il
colore nella sua massa ; ma non sa rinunziare ai caratteri suoi personali, di derivazione pro-
vinciale, e li armonizza, più o meno bene con gli altri.

Applica il colore in funzione assolutamente illogica in quelle opere in cui il suo linearismo
istintivo, tendendo ad aggruppamenti mossi e fratti, impaluda appunto nel colorito che gli con-
trasta e l’intralcia.

D’onde la sua impotenza a scene di movimento, e non da un’ impossibilità psicologica in
lui, mite e mansueto.

Talvolta unisce la solidità muscolare foppesca, lineata in attacchi tenaci, in rotule noc-
chiose, in polpacci pesi e di volume, alla luculenza del colore ■ tizianesco applicato e sovrim-
posto. E d’un abominevole pesantezza.

Il colore messo a servizio del disegno lo trascina a strapiombo.

Tale contrasto sensibilissimo, proprio a Venezia, negli artisti post-tizianeschi è già acuto
nel provinciale Moretto, non già come urto di due tendenze confusamente anelanti, come in
quelli, a nuovi risultati, ma come accozzo d’una tradizione chiara e precisa nella sua coscienza
artistica con una novità un po’ confusa e prospettata nel suo spirito non come necessità ma
come sforzo. Se il contrasto si acqueta, il Moretto balza sino al capolavoro.

Ecco il modo.

In alcune opere egli applica il colorito veneto, nella sua massa, ad una gamma ristretta
a pochissimi accordi di colore. Naturalmente, la gamma è grigia, un po’ per tradizione, un
po’ perchè tutti i riduttori di vasti accordi cromatici la preferiscono, potendosi su di essa
armonizzare i colori freddi o neutri. Aerando il fondo in grigio egli ne intuisce la conseguenza
coloristica; le figure che campeggiano su quel tòno abbassano i loro colori via via sino ad un
grigio, che solo per valore si differenzia da quello del fondo, o ad un nero.

E il modo d’ottenere la fusione tra superficie e fondo. Ma tale principio dà come risul-
tato che tutta la composizione si altera e che le forme s’organizzano diversamente. Quella s’al-
lenta, spaziata qua e là in campi luminosi che entrano negli anfratti come flutti lambenti con-
torni sinuosi di spiagge; le forme non pesano in appoggio sul suolo, non si squadrano risolute
in nicchie di fondi; ma aderiscono alla nuova sostanza luminosa, senza ingombro, come nuvole
un po’ ombrate salienti su chiarità di cieli. Prerotta la composizione nel mezzo, essa tende a
 
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