GIOVANNI BATTISTA MORO NI E I PITTORI BRESCIANI 299
forma e calore, impossibili in lui e nel suo tempo, che ha incanalata l’errante nube, rischiarata
qua e là, del Savoldo in un luogo chiuso, ove una lampada potesse aprirla in profonde acciac-
cature, con ditate nella pasta spalmata e lavorata, salendo via via l’ombra dal petto al collo
bianco e piatto, superando lo zigomo faciale per fermarsi nell’incavo dell’occhio volto verso
l’angelo ispiratore. Ritornerò presto su tale questione che mi sembra d’importanza capitale,
comunque, da notare nel Savoldo quel carattere inesorabilmente riduttore, sensibilissimo già
nel Moretto e negli altri artisti provinciali.
* * *
Chiusa questa parentesi savoldiana, e per tornare al Moretto, diremo che quel suo roman-
ticismo tanto decantato non c’ interessa, come non c’ interessa la sua tipologia ch’egli prese
G. G. Savoldo : San Matteo.
da vari artisti operandone una sua riduzione stilistica. Questo ci porta ad un altro ordine
di considerazioni.
In fondo il Moretto è ancora uno stilista; la monotonia dei suoi tipi, le piccole abitu-
dini — altri direbbe i caratteri — formali, rivelano in lui lo stilista di terz’ordine che non
sa, tutti gli elementi più svariati della sua arte, riportare ad un carattere unico, sovrano : il
vero stile, per cui tutto è logico, tutto è in ùn’opera al medesimo piano d’interesse, senza
interruzioni di curiosità per tale piega e tale orecchio e tal’altro più miserabile particolare.
Tale senso di stile —- anche se di qualità non superiore — impedisce a qualche profondo
problema pittorico di coglierlo in uno stato di spontaneità intuitiva. Ne nasce un compromesso
tra il suo stile — carattere di tradizione acquisito ed assorbito — e qualche nuovo ideale
d’arte. Coloro che rimproverano al Moretto il suo eclettismo non comprendono che i suoi
incubatori Romanino, Lotto, Savoldo, Tiziano, Leonardo, Raffaello, agendo su di lui — come
forma e calore, impossibili in lui e nel suo tempo, che ha incanalata l’errante nube, rischiarata
qua e là, del Savoldo in un luogo chiuso, ove una lampada potesse aprirla in profonde acciac-
cature, con ditate nella pasta spalmata e lavorata, salendo via via l’ombra dal petto al collo
bianco e piatto, superando lo zigomo faciale per fermarsi nell’incavo dell’occhio volto verso
l’angelo ispiratore. Ritornerò presto su tale questione che mi sembra d’importanza capitale,
comunque, da notare nel Savoldo quel carattere inesorabilmente riduttore, sensibilissimo già
nel Moretto e negli altri artisti provinciali.
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Chiusa questa parentesi savoldiana, e per tornare al Moretto, diremo che quel suo roman-
ticismo tanto decantato non c’ interessa, come non c’ interessa la sua tipologia ch’egli prese
G. G. Savoldo : San Matteo.
da vari artisti operandone una sua riduzione stilistica. Questo ci porta ad un altro ordine
di considerazioni.
In fondo il Moretto è ancora uno stilista; la monotonia dei suoi tipi, le piccole abitu-
dini — altri direbbe i caratteri — formali, rivelano in lui lo stilista di terz’ordine che non
sa, tutti gli elementi più svariati della sua arte, riportare ad un carattere unico, sovrano : il
vero stile, per cui tutto è logico, tutto è in ùn’opera al medesimo piano d’interesse, senza
interruzioni di curiosità per tale piega e tale orecchio e tal’altro più miserabile particolare.
Tale senso di stile —- anche se di qualità non superiore — impedisce a qualche profondo
problema pittorico di coglierlo in uno stato di spontaneità intuitiva. Ne nasce un compromesso
tra il suo stile — carattere di tradizione acquisito ed assorbito — e qualche nuovo ideale
d’arte. Coloro che rimproverano al Moretto il suo eclettismo non comprendono che i suoi
incubatori Romanino, Lotto, Savoldo, Tiziano, Leonardo, Raffaello, agendo su di lui — come