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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 31.1928

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Luzzatto, Guido Lodovico: Per il quarto centenario dalla morte di Alberto Dürer
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https://doi.org/10.11588/diglit.55191#0083

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PER IL QUARTO CENTENARIO
DALLA MORTE DI ALBERTO DÙRER

DÙRER E LOMAZZO
Giovanni Paolo Lomazzo, per la sua posizione, per la sua educazione era l’uomo
più adatto per avvicinarsi alla scienza ed alla figura di Diirer. Il suo ampio trattato
dell’arte della pittura, scultura ed architettura, è uno studio analitico della pratica rap-
presentazione delle cose nelle arti figurative, ma specialmente nella pittura (edizione
nel 1584-5, Milano).
Per quanto il Lomazzo si occupi della proporzione (libro primo), del colore e dei
lumi (III e IV) e della prospettiva (V), in sostanza egli vede sopratutto la composi-
zione, il modo di presentare e di raggiungere le figure e le forme naturali. Tenta di far
meditare i pittori sopra gli errori che si possono, si devono evitare. La sua critica è
quindi tutta impostata su questo modo di guardare l’arte, su questa discussione ana-
litica, pratica dei difetti per lo più evidenti « perfino a un fanciullo » e a chiunque sappia
osservare.
Ammiratore entusiasta di Leonardo non solo, ma di Gaudenzio Ferrari, di Cesare da
Sesto e di altri lombardi sopratutto, nonché di Correggio e Raffaello, il Lomazzo sembra
più conoscitore ed estimatore del sapere, della virtù, del metodo di Durer, che non sia
intimo e spontaneamente simpatizzante con la personalità dell’artista e con la sua vasta
creazione.
In fondo, il gusto del Lomazzo era tendente sopratutto al colore e alla pittura più
morbida, delicata, gioiosa. In tutta la sua vasta corsa attraverso i tempi, egli non cita
mai i più noti artisti del Quattrocento italiano: quelli non lo interessano, non rispon-
dono al suo limitato, speciale senso della bellezza, non meritano secondo lui quindi di
essere mai citati fra gli artisti che egli indica a modello per i suoi lettori, in lunghe
liste per ogni singolo genere o tema di pittura.
Sarebbe comprensibile quindi che anche l’arte di Diirer lo lasciasse freddo. Proba-
bilmente non ne conobbe alcun dipinto; ammirò senza entusiasmo intimo la perfezione
dell’opera grafica, salutò in lui sopratutto un mirabile esempio di artista cosciente, di
maestro della composizione secondo lo spirito del suo insegnamento.
L’importanza data a Durer rivela anche certo una rinomanza già diffusa, un ri-
conoscimento universale nell’ambiente lombardo assai più che in Toscana.
Un giudizio comprensivo è dato a proposito della « virtù della prospettiva » (libro V,
cap. II) dove partendo, si noti, dall’amico Gaudenzio, l’A. aggiunge « come a Raffaello,
a Polidoro e ad Alberto Durerò ». Qui egli si ferma su di lui e lo chiama pittore, ma
subito dopo si riferisce come sempre alle incisioni: « Alberto Durerò pittore, benché
tenesse una maniera barbara, studiosissimo ed intelligentissimo, che solo ha fatto più
istorie, fantasie, guerre e capricci, che non hanno fatto per così dire tutti gli altri in-
sieme; che tutte son ben collocate, come si vede per il gran fascio delle sue carte in-
tagliate da lui con diligenza grande ed esquisita ».
Diirer è nominato continuamente, con una frequenza data a pochi artisti, in tutte
le parti dell’opera; e dappertutto ci si riferisce a lui con elogi senza nessuna spiegazione,

L'Artf, XXXI, 7.
 
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