BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
I. - Teorie sull’arte, sulla storia e critica arti-
stica, sulla pedagogia artistica. Ricerche tecni-
che. Storie generali, lessici artistici.
M. Dvorak, Geschichte der italienischen Kunst im
Zeitalter der Renaissance, Akademische Vorlesun-
gen, Munchen, Piper, 1927-28, voli. 2, pagg. xn-
193, X, 223 ili.
Questo libro è composto di lezioni pronunziate all’Uni-
versità di Vienna negli anni 1918-19 e 1919-20, e raccolte
dopo la morte del docente da Johannes Wilde e Karl M. Swo-
doba. In queste lezioni il Dvorak svolse la storia dell’arte
italiana da Giotto fino alla morte di Michelangelo. Non si
creda però che egli abbia fatto così, perchè negasse valore
all’arte italiana del xvn e xvm secolo; egli stesso ci dissuade
dal pensarlo, dicendo che questo è un concetto ormai sor-
passato.
I corsi universitari de] Dvorak raccolti in questo volume
costituiscono una trattazione organica, a grandi linee, del-
l’arte nostra. È una specie di storia eroica dell’arte, in cui
appaiono soltanto le figure più grandi, nelle quali s’imperso-
nano le principali correnti e le più importanti tendenze.
Lo stile di Giotto per l’autore è uno stile ideale. Questo
stile non deriva però da una irrazionale soprarealtà, come nel
gotico, ma è una trasfigurazione della verità sensibile, come
quella a cui tendeva l’arte antica. Giotto è paragonato al Pe-
trarca; tanto con l’uno che con l’altro incomincia la Rina-
scenza.
Le monumentali figure di Pietro Cavallini possono esser
considerate come progenitrici di quelle degli affreschi della
Stanza della Segnatura, e nelle laro teste troviamo qualcosa
del Bello ideale degli antichi. Anche in Giotto è una compren-
sione profonda del corpo umano, che è un ritorno al problema
statuario dell’arte antica. Giotto è un classico, in quanto
si trova in lui un ritorno all’antica concezione della composi-
zione spaziale, all’antica plasticità della pittura, alla monu-
mentalità e all’idealità nel senso classico.
In Giotto troviamo però elementi nuovi nel contenuto e
nella drammaticità dell’espressione. Se il Dvorak ha ben
compreso la posizione storica di Giotto, non ha forse inteso
altrettanto bene quella di Masaccio. Per lui in Masaccio è
unità di composizione, a cagione della prospettiva e del dua-
lismo tra figure e spazio. Ci sembra invece che nelle composi-
zioni di Masaccio, le figure si orgahizzino nello spazio, tanto
da diventare elementi costruttivi dell’architettura del quat-
dro. Il giudizio di Dvorak dipende dalla sua concezione stret-
tamente pittorica.
L’Autore comprende invece benissimo che da Masaccio de-
rivano Piero della Francesca e Paolo Uccello; e parlando del
primo, ci mostra le possibilità di sviluppo della sua arte, di-
cendo che una delle proprietà di questa è il suo rapporto
con le qualità puramente pittoriche della rappresentazione,
colore, luce, aria. In essa è riposto il problema più importante
della pittura dell’avvenire.
Anche per Leonardo è giusto dire, come dice il Dvorak,
che egli col suo chiaroscuro risolse il problema dell’unità della
figura dello spazio; ossia è giusto nel senso che egli seppe
far circolare l’aria intorno alle figure che immerse nell’am-
biente, superando la prospettiva lineare e precorrendo la
pittura modernissima. Leonardo, afferma il Dvorak, si pone
in modo unitario il problema della luce, e ne studia tutte le
conseguenze e tutti gli effetti. Così divenne possibile dare
un nuovo valore artistico al trattamento della luce. L’illu-
minazione non è più studiata come presso i quattrocenti-
sti nel suo rapporto coi colori e con la forma, ma è nello
stesso tempo un mezzo di espressione della vita immate-
riale, che domina nell’atmosfera.
Michelangelo innalzò la forma artistica a misura di tutte
le cose, superando i limiti del razionale. Ciò lo condusse da
una parte al gotico, a Giotto e a Jacopo della Quercia, l’ul-
timo grande artista gotico d’Italia, e dall’altra parte all’an-
tico. La sua arte però non trascende i confini della realtà
naturale come l’arte medievale, ma li supera, innalzando
artisticamente la natura, idealizzandola e divinizzandola.
A Michelangelo, che.- forma per così dire lo sfondo di
tutto- il secondo volume, l’autore dedica alcune tra le più
belle pagine del suo libro. Ricordiamo, ad esempio, quelle in
cui il Dvorak ci parla con eloquenza appassionata delle
pitture della volta della Sistina. Simile altezza di stile tro-
viamo in quelle in cui discorre del colore di Tiziano. Come si
vede l’autore deve aver meditato a lungo sul problema delle
relazioni del Rinascimento con l’antico e anche col gotico,
ma non cade negli errori di valutazione in sui spesso sono
incorsi critici d’oltralpe, specialmente riguardo al gotico;
resta però in lui la tendenza all’astrazione, che l’arte dello
scrittore non riesce a render inavvertita al nostro tempera-
mento latino.
Parlando del Correggio, mostra come in alcune opere di
questo artista, si possano già trovare i germi della pittura
barocca. Nel Correggio quello che nell’antica arte cristiana
era immateriale, senza moto innaturale, spvrasensibile, qui
è materiale, plastico, corposo, e tuttavia con un prodigio
d’arte innalzato sopra i confini della materia. Ci sembra che
in queste parole, nonostante le riserve che si debbon sempre
L'Arte, XXXI, 12.
I. - Teorie sull’arte, sulla storia e critica arti-
stica, sulla pedagogia artistica. Ricerche tecni-
che. Storie generali, lessici artistici.
M. Dvorak, Geschichte der italienischen Kunst im
Zeitalter der Renaissance, Akademische Vorlesun-
gen, Munchen, Piper, 1927-28, voli. 2, pagg. xn-
193, X, 223 ili.
Questo libro è composto di lezioni pronunziate all’Uni-
versità di Vienna negli anni 1918-19 e 1919-20, e raccolte
dopo la morte del docente da Johannes Wilde e Karl M. Swo-
doba. In queste lezioni il Dvorak svolse la storia dell’arte
italiana da Giotto fino alla morte di Michelangelo. Non si
creda però che egli abbia fatto così, perchè negasse valore
all’arte italiana del xvn e xvm secolo; egli stesso ci dissuade
dal pensarlo, dicendo che questo è un concetto ormai sor-
passato.
I corsi universitari de] Dvorak raccolti in questo volume
costituiscono una trattazione organica, a grandi linee, del-
l’arte nostra. È una specie di storia eroica dell’arte, in cui
appaiono soltanto le figure più grandi, nelle quali s’imperso-
nano le principali correnti e le più importanti tendenze.
Lo stile di Giotto per l’autore è uno stile ideale. Questo
stile non deriva però da una irrazionale soprarealtà, come nel
gotico, ma è una trasfigurazione della verità sensibile, come
quella a cui tendeva l’arte antica. Giotto è paragonato al Pe-
trarca; tanto con l’uno che con l’altro incomincia la Rina-
scenza.
Le monumentali figure di Pietro Cavallini possono esser
considerate come progenitrici di quelle degli affreschi della
Stanza della Segnatura, e nelle laro teste troviamo qualcosa
del Bello ideale degli antichi. Anche in Giotto è una compren-
sione profonda del corpo umano, che è un ritorno al problema
statuario dell’arte antica. Giotto è un classico, in quanto
si trova in lui un ritorno all’antica concezione della composi-
zione spaziale, all’antica plasticità della pittura, alla monu-
mentalità e all’idealità nel senso classico.
In Giotto troviamo però elementi nuovi nel contenuto e
nella drammaticità dell’espressione. Se il Dvorak ha ben
compreso la posizione storica di Giotto, non ha forse inteso
altrettanto bene quella di Masaccio. Per lui in Masaccio è
unità di composizione, a cagione della prospettiva e del dua-
lismo tra figure e spazio. Ci sembra invece che nelle composi-
zioni di Masaccio, le figure si orgahizzino nello spazio, tanto
da diventare elementi costruttivi dell’architettura del quat-
dro. Il giudizio di Dvorak dipende dalla sua concezione stret-
tamente pittorica.
L’Autore comprende invece benissimo che da Masaccio de-
rivano Piero della Francesca e Paolo Uccello; e parlando del
primo, ci mostra le possibilità di sviluppo della sua arte, di-
cendo che una delle proprietà di questa è il suo rapporto
con le qualità puramente pittoriche della rappresentazione,
colore, luce, aria. In essa è riposto il problema più importante
della pittura dell’avvenire.
Anche per Leonardo è giusto dire, come dice il Dvorak,
che egli col suo chiaroscuro risolse il problema dell’unità della
figura dello spazio; ossia è giusto nel senso che egli seppe
far circolare l’aria intorno alle figure che immerse nell’am-
biente, superando la prospettiva lineare e precorrendo la
pittura modernissima. Leonardo, afferma il Dvorak, si pone
in modo unitario il problema della luce, e ne studia tutte le
conseguenze e tutti gli effetti. Così divenne possibile dare
un nuovo valore artistico al trattamento della luce. L’illu-
minazione non è più studiata come presso i quattrocenti-
sti nel suo rapporto coi colori e con la forma, ma è nello
stesso tempo un mezzo di espressione della vita immate-
riale, che domina nell’atmosfera.
Michelangelo innalzò la forma artistica a misura di tutte
le cose, superando i limiti del razionale. Ciò lo condusse da
una parte al gotico, a Giotto e a Jacopo della Quercia, l’ul-
timo grande artista gotico d’Italia, e dall’altra parte all’an-
tico. La sua arte però non trascende i confini della realtà
naturale come l’arte medievale, ma li supera, innalzando
artisticamente la natura, idealizzandola e divinizzandola.
A Michelangelo, che.- forma per così dire lo sfondo di
tutto- il secondo volume, l’autore dedica alcune tra le più
belle pagine del suo libro. Ricordiamo, ad esempio, quelle in
cui il Dvorak ci parla con eloquenza appassionata delle
pitture della volta della Sistina. Simile altezza di stile tro-
viamo in quelle in cui discorre del colore di Tiziano. Come si
vede l’autore deve aver meditato a lungo sul problema delle
relazioni del Rinascimento con l’antico e anche col gotico,
ma non cade negli errori di valutazione in sui spesso sono
incorsi critici d’oltralpe, specialmente riguardo al gotico;
resta però in lui la tendenza all’astrazione, che l’arte dello
scrittore non riesce a render inavvertita al nostro tempera-
mento latino.
Parlando del Correggio, mostra come in alcune opere di
questo artista, si possano già trovare i germi della pittura
barocca. Nel Correggio quello che nell’antica arte cristiana
era immateriale, senza moto innaturale, spvrasensibile, qui
è materiale, plastico, corposo, e tuttavia con un prodigio
d’arte innalzato sopra i confini della materia. Ci sembra che
in queste parole, nonostante le riserve che si debbon sempre
L'Arte, XXXI, 12.