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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 31.1928

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Sinibaldi, Giulia: Rapporti di Ambrogio Lorenzetti con Simone Martini e con Giotto
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https://doi.org/10.11588/diglit.55191#0243

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RAPPORTI DI AMBROGIO LORENZETTI
CON SIMONE MARTINI E CON GIOTTO

Il Van Marie, parlando di Simone Martini, ammette il solito concetto del realismo
senese. Realismo c’è nella fedeltà dei particolari, mentre l’azione, in sè, non è nè dram-
matica nè narrativa. Ciò si dice della predella del S. Luigi di Napoli, di alcune storie di
S. Martino ad Assisi. La scena con S. Martino fatto cavaliere « rivela l’abilità dell’artista
nel combinare idealismo di concezione e eleganza di forma con realismo d’atteggiamenti
e di dettagli ». Ma come si può lasciarsi convincere che con particolari tutti realistici si
miri ad un effetto di sogno? È forse di qualche interesse spiegare l’equivoco, perchè esso
non si limita a Simone Martini, ma si ripete per tutta l’arte senese. Evidentemente im-
plica un confronto, più o meno cosciente, con l’arte fiorentina. Quando si dice che l’arte
senese si contrappone a quella fiorentina, cioè Giotto, per la sua ricchezza di partico-
lari, si fa un giudizio fiorentino e non senese. Cioè si pensa alla semplicità di Giotto.
Ora è Giotto stesso a fornire la riprova che gli è necessario l’essere semplice per essere
grande. Proprio nel suo migliore momento, cioè nella cappella degli Scrovegni, egli
cedette qualche volta a un particolarismo, che in lui è errore. Per esempio, nell’Annun-
ciazione dell’arco di trionfo. Le due figure dell’Angiolo e della Vergine sono certo tra
le sue cose più grandi, perchè sono così silenziose, così sole. Giotto scoperse la divi-
nità dell’uomo nella solitudine e nel silenzio. La Vergine non ha nulla d’immateriale di
divino. È una donna, con le sue grevi trecce attorte sul capo, con le sue vesti semplici.
Soltanto, è divinamente sola. Tutto lo stile di Giotto esprime questa potenza dell’isola-
mento. La fermezza plastica, la sintesi dei mezzi, la sobrietà del colore. Così egli anche
può, e proprio perchè la sua visione è fatta di uomini e non di dei, esprimere un dramma
intenso. Le sue figure, il dramma, lo soffrono tutto, appunto perchè lo chiudono in sè,
appunto perchè quasi se ne impietrano. L’uomo rinasce soltanto per essere separato dagli
uomini e dominare, sì, ma come un dio nel silenzio. La sua deificazione è la sua condanna
e la. sua tortura. Alle volte pare che tutto si disfaccia in un tremito di dolore, come nel
Cristo innanzi a Pilato e che il dramma stia per scoppiare. Alle volte un gesto diventa
violento e disperato come quello delle braccia di Giovanni nella Deposizione della Croce.
Ma anche quel gesto, appena permesso, è impietrito. In tal modo si ha insieme l’impres-
sione di una perfetta chiarezza espressiva e di un fuoco chiuso di passione dolorosa. Se
così è, ci si può spiegare il fastidio di un particolare in Giotto. Per esempio la cameretta
dietro l’Annunciata, il lettino, la mensola, che non si possono vedere che a parte, con una
attenzione diversa, o desiderare che non ci siano, perchè la Vergine sia più sola. Non è
così dei grandi paesi, delle rocce brulle, che tracciano l’ambiente con l’anima stessa delle
figure, ma ogni volta che appaiono cose piccole, da gustare in se stesse, paiono quasi fri-
volezze e distrazioni. Così a particolare, in senso adatto a Giotto, non si può dare che
significato d’errore.
Nei Senesi, invece, particolare può o dovrebbe avere soltanto il significato di elemento
decorativo. Se s’intende così, il particolare è necessario alla visione senese proprio come la
superficie disadorna e continua è necessaria a Giotto. Per esempio, nell’ Annunciazione di
Simone Martini agli Uffizi tutto è particolare. La veste bianca e oro dell’Angelo, lavorata
con tanta finezza particolaristica, è insostituibile con una zona unita di colore. Il bianco,
sminuzzato con l’oro, prende una tonalità preziosa, quasi intrisa dell’oro del fondo. La
 
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