Fra gli scarti della collezione Quartara in Genova, che mi fu concesso gentilmente
di esaminare, ho trovato questa Crocifissione di S. Andrea che mi parve subito opera
degna di rilievo e di studio. (N. i).
È un’ampia tela, con cinque figure grandi al vero, in discreto stato di conservazione.
Non ha data, nè firma. L’originario formato rettangolare del quadro si presenta solo per
le traccie di sutura grossolana con le fasce di tela che hanno rintelaiato il dipinto su una
sagoma settecentesca mossa e ondulata che indica una collocazione ed un adattamento
antico in salone ed in pareti architettonicamente ornati.
Il dipinto è per se stesso bello e pregevole; freschi e morbidi toni di luce si alternano
a bruni toni d’ombra vellutata e fonda; pennellata franca e disinvolta, un bel senso dram-
matico di chiaroscuro, ed una non comune vis plastica che modella vigorosamente le forme
sotto un raggio di luce radente.
A prima vista mi fu facile vedere nel dipinto l’opera e la mano non solo di un napo-
letano, ma addirittura di un riberesco assai vicino al maestro.
Ho confrontato questa Crocifissione, con l’analogo soggetto del Louvre, (Sala VI,
n. 1432, 0,34 X 0,43) (N. 2) in quella galleria attribuito a Mattia Preti e con questa ascri-
zione riportato da Chimirri e Frangipane nel catalogo delle opere del Calabrese.1 Attri-
buzione che non regge un momento se si considerano non solo i caratteri di forma, di chia-
roscuro ma anche e sopratutto quei toni di rosso-bruno, rosso-mosto e rosso-vino che sono
tipici di Luca Giordano. La Crocifissione del Louvre dunque per le sue piccole dimensioni
per debolezza di chiaroscuro, incertezze e approssimazioni di disegno, può senza dubbio
giudicarsi una copia dell’originale di Genova e permette d’orientare la attribuzione sul
nome di Luca Giordano.
Ora sappiamo quanto fosse nel costume dello spregiudicato e focoso Luca il copiare,
il contraffare 0 il falsificare. Sappiamo come queste sue disinvolte abitudini abbiano posto
in imbarazzo critici e studiosi che non riescono ancora a stabilire un preciso catalogo del-
l’opere di Giordano e di Ribera.2 Ma, per mio conto, nelle attribuzioni giordanesche, motivo
fondamentale rimane quel tono di rosso di cui dicevo dianzi che avvolge il dipinto ora
come fitta ed uniforme velatura, ora intridendo la fibra del colore e della pennellata. Così
come si vede nel Centauro della Galleria di Palermo (N. 392), firmato Jordanus, come
splendidamente mostra il superbo ritratto di filosofo della Galleria Corsini di Roma (N. 3)
ancora attribuito al Ribera ma ormai certa opera di Luca, e come mostra infine il filosofo
della collezione privata veneta3 che è firmato Luca Jord (N. 4), ed è una palese imitazione
riberesca, databile intorno al 1650, rifatta sulla serie ormai famosa dei filosofi, per me
ribereschi, del Louvre e del Prado. Quel colore, quelle velature che mancano assoluta-
mente nel quadro di casa Quartara e che perciò allontanano definitivamente i dubbi su
una probabile attribuzione giordanesca. Per altro verso e con altri confronti mi sono ac-
costato sempre più ad una ascrizione della Crocifissione di S. Andrea di Casa Quartara al
nome di Ribera.
1 Alfieri e Lacroix, 1914, tav. Vili. Leipzig, pag. 72, 73, 76, 94, 108, 109, 144, 176.
2 Cfr. A. L. Mayer, Jusepe de Ribera, Zweite ve- 3 La cui fotografia gentilmente mi ha favorito
randerte Auflage Verlag von Karl W. Hiersemann, l’amico Ortolani.
di esaminare, ho trovato questa Crocifissione di S. Andrea che mi parve subito opera
degna di rilievo e di studio. (N. i).
È un’ampia tela, con cinque figure grandi al vero, in discreto stato di conservazione.
Non ha data, nè firma. L’originario formato rettangolare del quadro si presenta solo per
le traccie di sutura grossolana con le fasce di tela che hanno rintelaiato il dipinto su una
sagoma settecentesca mossa e ondulata che indica una collocazione ed un adattamento
antico in salone ed in pareti architettonicamente ornati.
Il dipinto è per se stesso bello e pregevole; freschi e morbidi toni di luce si alternano
a bruni toni d’ombra vellutata e fonda; pennellata franca e disinvolta, un bel senso dram-
matico di chiaroscuro, ed una non comune vis plastica che modella vigorosamente le forme
sotto un raggio di luce radente.
A prima vista mi fu facile vedere nel dipinto l’opera e la mano non solo di un napo-
letano, ma addirittura di un riberesco assai vicino al maestro.
Ho confrontato questa Crocifissione, con l’analogo soggetto del Louvre, (Sala VI,
n. 1432, 0,34 X 0,43) (N. 2) in quella galleria attribuito a Mattia Preti e con questa ascri-
zione riportato da Chimirri e Frangipane nel catalogo delle opere del Calabrese.1 Attri-
buzione che non regge un momento se si considerano non solo i caratteri di forma, di chia-
roscuro ma anche e sopratutto quei toni di rosso-bruno, rosso-mosto e rosso-vino che sono
tipici di Luca Giordano. La Crocifissione del Louvre dunque per le sue piccole dimensioni
per debolezza di chiaroscuro, incertezze e approssimazioni di disegno, può senza dubbio
giudicarsi una copia dell’originale di Genova e permette d’orientare la attribuzione sul
nome di Luca Giordano.
Ora sappiamo quanto fosse nel costume dello spregiudicato e focoso Luca il copiare,
il contraffare 0 il falsificare. Sappiamo come queste sue disinvolte abitudini abbiano posto
in imbarazzo critici e studiosi che non riescono ancora a stabilire un preciso catalogo del-
l’opere di Giordano e di Ribera.2 Ma, per mio conto, nelle attribuzioni giordanesche, motivo
fondamentale rimane quel tono di rosso di cui dicevo dianzi che avvolge il dipinto ora
come fitta ed uniforme velatura, ora intridendo la fibra del colore e della pennellata. Così
come si vede nel Centauro della Galleria di Palermo (N. 392), firmato Jordanus, come
splendidamente mostra il superbo ritratto di filosofo della Galleria Corsini di Roma (N. 3)
ancora attribuito al Ribera ma ormai certa opera di Luca, e come mostra infine il filosofo
della collezione privata veneta3 che è firmato Luca Jord (N. 4), ed è una palese imitazione
riberesca, databile intorno al 1650, rifatta sulla serie ormai famosa dei filosofi, per me
ribereschi, del Louvre e del Prado. Quel colore, quelle velature che mancano assoluta-
mente nel quadro di casa Quartara e che perciò allontanano definitivamente i dubbi su
una probabile attribuzione giordanesca. Per altro verso e con altri confronti mi sono ac-
costato sempre più ad una ascrizione della Crocifissione di S. Andrea di Casa Quartara al
nome di Ribera.
1 Alfieri e Lacroix, 1914, tav. Vili. Leipzig, pag. 72, 73, 76, 94, 108, 109, 144, 176.
2 Cfr. A. L. Mayer, Jusepe de Ribera, Zweite ve- 3 La cui fotografia gentilmente mi ha favorito
randerte Auflage Verlag von Karl W. Hiersemann, l’amico Ortolani.