UN PRIMITIVO RITRATTO
DI GIAN GIROLAMO SAVOLDO
Tra le opere prime del caposcuola bresciano nel Cinquecento, Gian Girolamo Sa-
voldo, è un ritratto di raccolta privata a Bergamo, prossimo, per la modellatura ferma
e serrata, a quel gioiello di semplicità, di grave e placida intimità lombarda che è il
Riposo sulla via dell’Egitto nella raccolta Lòtzbek, a Monaco di Baviera, composto di
tre immagini isolate, per mezzo di alte scogliere, dal paese umile e silenzioso in un mesto
finir del giorno. Il quadro di Bergamo, il più antico ritratto del Savoldo a noi noto,
figura un giovane in cappello e veste neri, su fondo nero, appoggiato con la sinistra a un
parapetto di taglio giorgionesco. E tuttavia la visione appare totalmente diversa da
quella del Maestro di Castelfranco: mentre le immagini di Giorgione si fondono con
l’ombra di base per lenti e dolci passaggi, la luce, nel quadro di Bergamo, attrae vio-
lentemente dalle tenebre del fondo la rubea testa e la mano carnosa, con un risalto
quasi notturno. Più che i veneziani, il Bresciano ricorda qui il grande Messinese non ignaro
dell’arte fiamminga, Antonello, anche nella vampa rutilante del colore e nella solidità
architettonica della posa, nella verità del tipo in pochi tratti concisi sorpreso. E se la mi-
nuzia pittorica savoldiana appare nell’orlatura a fil di ferro della camicia, nella tenue
catenella, nei ricami ageminati, tale nordica cura di particolari non intacca l’evidenza
plastica dell’immagine, che s’affaccia dal fondo di tenebre, minacciosa e volontaria, fis-
sata come da un igneo raggio di riflettore. E pur sentendo più tardi il fascino del color
di Tiziano, il Savoldo manterrà sempre, come in questo ritratto che ha di giorgionesco
soltanto lo schema, l’impronta schietta del temperamento lombardo.
Mentre Tiziano giovane e il Palma mirano all’accordo tonale delle zone cromatiche,
il Savoldo, sin dall’inizio volto a ricerche luministiche, vede nei contrapposti d’ombra
e luce lo strumento al risalto pittorico delle forme. Anche quando l’ammirazione per
il colore veneto lo guida a intenerire col tortuoso moto della luce i tessuti delle vesti,
a trar bagliori di madreperla dal vetro di una fiasca, a incrostar di scaglie gemmate la
testa del pesce di Tobiolo, simile intenerimento della sostanza cromatica, nel ritratto di
Bergamo come in tutte le opere prime, dura, compatta e liscia, si limita generalmente
alla trama delle stoffe, mentre rimane intatta l’unita levigatezza dei volti giovanili,
netto il disegno delle rughe in quelli dei vecchi, perspicua e circoscritta la forma E que-
sto carattere, che sarà fondamentale in tutte le fasi dell’arte di Gian Girolamo Savoldo,
pensoso e solitario ricercatore, s’afferma con vigore sovrano nel ritratto di Bergamo,
dove egli ha fissato, con sommarietà di grande plastico quattrocentista, l’espressione di
una ferrea, indomabile, tempestosa energia, la violenza di una minaccia tanto più ter-
ribile quanto più frenata e compressa, un volto di lanzo feroce, in contrasto con una
delicata mano di gentiluomo.
Adolfo Venturi.
DI GIAN GIROLAMO SAVOLDO
Tra le opere prime del caposcuola bresciano nel Cinquecento, Gian Girolamo Sa-
voldo, è un ritratto di raccolta privata a Bergamo, prossimo, per la modellatura ferma
e serrata, a quel gioiello di semplicità, di grave e placida intimità lombarda che è il
Riposo sulla via dell’Egitto nella raccolta Lòtzbek, a Monaco di Baviera, composto di
tre immagini isolate, per mezzo di alte scogliere, dal paese umile e silenzioso in un mesto
finir del giorno. Il quadro di Bergamo, il più antico ritratto del Savoldo a noi noto,
figura un giovane in cappello e veste neri, su fondo nero, appoggiato con la sinistra a un
parapetto di taglio giorgionesco. E tuttavia la visione appare totalmente diversa da
quella del Maestro di Castelfranco: mentre le immagini di Giorgione si fondono con
l’ombra di base per lenti e dolci passaggi, la luce, nel quadro di Bergamo, attrae vio-
lentemente dalle tenebre del fondo la rubea testa e la mano carnosa, con un risalto
quasi notturno. Più che i veneziani, il Bresciano ricorda qui il grande Messinese non ignaro
dell’arte fiamminga, Antonello, anche nella vampa rutilante del colore e nella solidità
architettonica della posa, nella verità del tipo in pochi tratti concisi sorpreso. E se la mi-
nuzia pittorica savoldiana appare nell’orlatura a fil di ferro della camicia, nella tenue
catenella, nei ricami ageminati, tale nordica cura di particolari non intacca l’evidenza
plastica dell’immagine, che s’affaccia dal fondo di tenebre, minacciosa e volontaria, fis-
sata come da un igneo raggio di riflettore. E pur sentendo più tardi il fascino del color
di Tiziano, il Savoldo manterrà sempre, come in questo ritratto che ha di giorgionesco
soltanto lo schema, l’impronta schietta del temperamento lombardo.
Mentre Tiziano giovane e il Palma mirano all’accordo tonale delle zone cromatiche,
il Savoldo, sin dall’inizio volto a ricerche luministiche, vede nei contrapposti d’ombra
e luce lo strumento al risalto pittorico delle forme. Anche quando l’ammirazione per
il colore veneto lo guida a intenerire col tortuoso moto della luce i tessuti delle vesti,
a trar bagliori di madreperla dal vetro di una fiasca, a incrostar di scaglie gemmate la
testa del pesce di Tobiolo, simile intenerimento della sostanza cromatica, nel ritratto di
Bergamo come in tutte le opere prime, dura, compatta e liscia, si limita generalmente
alla trama delle stoffe, mentre rimane intatta l’unita levigatezza dei volti giovanili,
netto il disegno delle rughe in quelli dei vecchi, perspicua e circoscritta la forma E que-
sto carattere, che sarà fondamentale in tutte le fasi dell’arte di Gian Girolamo Savoldo,
pensoso e solitario ricercatore, s’afferma con vigore sovrano nel ritratto di Bergamo,
dove egli ha fissato, con sommarietà di grande plastico quattrocentista, l’espressione di
una ferrea, indomabile, tempestosa energia, la violenza di una minaccia tanto più ter-
ribile quanto più frenata e compressa, un volto di lanzo feroce, in contrasto con una
delicata mano di gentiluomo.
Adolfo Venturi.