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laura filippini
L’opera in cui ritroviamo i caratteri di
Elia è l’altare di Santa Maria delle Rose
in Santa Maria di Castello a Genova che,
nonostante l’affermazione della sua completa
distruzione, fatta dal Cervetto, esiste ancora
in frantumi sparsi per la chiesa.
Un cenno descrittivo di esso ci rimane,
fortunatamente, negli atti del notaio Antonio
Pastorino,1 scritto da Romerio da Campione
scultore, dopo la morte di Elia, in cui ac-
cenna come questi vi avesse lavorato con
altri per commissione dei padri Domenicani.
« L’altare sorgeva in fondo alla chiesa,
p;0. 6 E|;a Gaggini ■ Tabernacolo tutto in marmo, decorato da colonne inta-
Genova, Cappella del Battistero - (Fot. Noak, Genova) gliate, « fregiato da bella cimasa, arricchito
di statuine e di graziosi ornati architettonici ».
Questa descrizione ci viene in aiuto assai a proposito, perchè ci possiamo, per essa,
rappresentare l’altare, sebbene ciò potremmo ugualmente fare pensando a quelli che, nel
XV secolo, innalzavano gli artisti lombardi ed in ispecie i Gaggini, in Sicilia, e così anche
alcuni toscani in Toscana stessa. Erano enormi aggruppamenti di colonne, di riquadri con
rilievi, di cornici, lesene, nicchie, timpani d’ogni forma e d’ogni genere, che prendevano
l’apparenza massiccia d’una parete. La virtuosità degli artefici traspariva non dalla semplicità
ed eleganza delle linee, nè dall’armonia del disegno architettonico, ma dalla finitezza dei
dettagli più insignificanti e dal maggiore aggruppamento di figure e di ornati nello spazio
più ristretto. Ciò almeno, in tesi generale.
Basta ricordare l’altare di Santa Cita a Palermo e quello di Monte San Giuliano, opera
di Antonello Gaggini. Ambedue polittici, farraginosi, fastosi e sempre ancora gotici. Ma due
altri altari del genere possono aver riscontro assai più forte con quello ora scomparso, e
sono Ialtare della Purificazione e quello di San Tommaso nel duomo di Sarzana, opera
del toscano Lionardo di Riccomanno, e ciò quando si pensi che questo maestro lavorò nel
duomo di Genova, non ci si riesce quasi,
stante il disegno più sicuro e meno difet-
toso, le vedute più larghe e quattrocentesche,
il moto maggiore, l’eleganza dei panneggi
e insomma lo spirito tutto diverso che aleggia
nei rilievi di Genova. Ammettendo quindi
anche che il Cervetto giustamente e logica-
mente identifichi Elia da Ponte col nostro
Gaggini, è impossibile ammettere che l’ar-
tista, poco tempo dopo aver lavorato a Ge-
nova, abbia perduta ogni qualità acquistata
a fianco di Domenico e sia diventato pari ad
un tagliapietre romanico qualunque.
Elia forse avrà costruito il portale ed il
campanile, avrà anche disegnato i fregi delle
lesene, poiché una certa aria gagginiana vi
si scorge, e le avrà lasciate eseguire da altri.
* * *
1 Archivio governativo di Genova (fogliazzo 31, 15n).
laura filippini
L’opera in cui ritroviamo i caratteri di
Elia è l’altare di Santa Maria delle Rose
in Santa Maria di Castello a Genova che,
nonostante l’affermazione della sua completa
distruzione, fatta dal Cervetto, esiste ancora
in frantumi sparsi per la chiesa.
Un cenno descrittivo di esso ci rimane,
fortunatamente, negli atti del notaio Antonio
Pastorino,1 scritto da Romerio da Campione
scultore, dopo la morte di Elia, in cui ac-
cenna come questi vi avesse lavorato con
altri per commissione dei padri Domenicani.
« L’altare sorgeva in fondo alla chiesa,
p;0. 6 E|;a Gaggini ■ Tabernacolo tutto in marmo, decorato da colonne inta-
Genova, Cappella del Battistero - (Fot. Noak, Genova) gliate, « fregiato da bella cimasa, arricchito
di statuine e di graziosi ornati architettonici ».
Questa descrizione ci viene in aiuto assai a proposito, perchè ci possiamo, per essa,
rappresentare l’altare, sebbene ciò potremmo ugualmente fare pensando a quelli che, nel
XV secolo, innalzavano gli artisti lombardi ed in ispecie i Gaggini, in Sicilia, e così anche
alcuni toscani in Toscana stessa. Erano enormi aggruppamenti di colonne, di riquadri con
rilievi, di cornici, lesene, nicchie, timpani d’ogni forma e d’ogni genere, che prendevano
l’apparenza massiccia d’una parete. La virtuosità degli artefici traspariva non dalla semplicità
ed eleganza delle linee, nè dall’armonia del disegno architettonico, ma dalla finitezza dei
dettagli più insignificanti e dal maggiore aggruppamento di figure e di ornati nello spazio
più ristretto. Ciò almeno, in tesi generale.
Basta ricordare l’altare di Santa Cita a Palermo e quello di Monte San Giuliano, opera
di Antonello Gaggini. Ambedue polittici, farraginosi, fastosi e sempre ancora gotici. Ma due
altri altari del genere possono aver riscontro assai più forte con quello ora scomparso, e
sono Ialtare della Purificazione e quello di San Tommaso nel duomo di Sarzana, opera
del toscano Lionardo di Riccomanno, e ciò quando si pensi che questo maestro lavorò nel
duomo di Genova, non ci si riesce quasi,
stante il disegno più sicuro e meno difet-
toso, le vedute più larghe e quattrocentesche,
il moto maggiore, l’eleganza dei panneggi
e insomma lo spirito tutto diverso che aleggia
nei rilievi di Genova. Ammettendo quindi
anche che il Cervetto giustamente e logica-
mente identifichi Elia da Ponte col nostro
Gaggini, è impossibile ammettere che l’ar-
tista, poco tempo dopo aver lavorato a Ge-
nova, abbia perduta ogni qualità acquistata
a fianco di Domenico e sia diventato pari ad
un tagliapietre romanico qualunque.
Elia forse avrà costruito il portale ed il
campanile, avrà anche disegnato i fregi delle
lesene, poiché una certa aria gagginiana vi
si scorge, e le avrà lasciate eseguire da altri.
* * *
1 Archivio governativo di Genova (fogliazzo 31, 15n).