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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

DOI issue:
Fasc. 3
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Longhi, Roberto: Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura Veneziana, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0232

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PIERO DEI FRANCESCHI

E LO SVILUPPO DELLA PITTURA VENEZIANA

jjUANDO si voglia rispondere alla domanda: quale sia la grandezza specifica della pittura

gotica si finisce dopo qualche esitazione per pronunciare la parola linea. Non senza tuttavia
abbandonare con rimpianto il ricordo di un delizioso colorismo. Poiché — una volta sgombrati
i preconcetti più grossolani sulle possibilità delle tecniche specifiche —nessuno vorrebbe negare
che il colore di Siinone Martini, di Gentile, di Stefano, di Giambone) o di Sassetta, sia in verità
meno fulgido, meno sostanziato ed atomico, in certi istanti, che quello di un Bellini o per-
sino di un Tiziano.

Ma è appunto la linea, per quanto fievole essa sia, che vince sempre la superficie, cioè
il colore, e come avviene che, inclini a godere primordialmente del bianco eburneo di un foglio,
una volta che un arabesco calligrafico qualsia sia stato vergato sopra di esso siamo inevita-
bilmente tratti a fermarci piuttosto su quella minima letizia di ondulazioni e a dimenticare la
bianchezza, così sdimentichiamo inevitabilmente la convinzione della sostanza coloristica dei
gotici per bilanciarci sul vertice fragile delle curve di Lorenzo Monaco, per cullarci lentamente
nelle amache molleggianti dei contorni di Simone, per disperderci negli infiniti laberinti del
rabesco di Stefano o di Giambone.

Possiamo in essi, tutt’al più, godere di un colore, singolarmente, mai di una composizione
coloristica, poiché se un colore deve agire come superficie, una composizione coloristica non
può agire che come contrapposizione o giustapposizione di superficie, la quale non potrà rag-
giungersi, è chiaro, che quando il colore si distenda allato allato in ampie zone e fasce di
riposo formale: il riposo del colore.

La larghezza di un grande riposo coloristico era stata raggiunta una volta dai bizantini
del VI secolo, a San Vitale ; e se si pensi che è ancora il colore bizantino che passa nei
gotici — attraverso Duccio — e in essi permane come gamma, distratto soltanto dalla calli-
grafia, parrebbe strano ad ognuno ch’esso non avesse avuto un grande seguito. Se in Gentile
noi troviamo talora un rosa o un granata che rivedremo di certo in Tiziano e nessuno vorrebbe
certo esporsi al ridicolo di derivare Tiziano da Gentile, crediamo tuttavia che sia necessario
ricercare oltre la semplice affinità di ordine gustativo qualche verificazione di ordine storico.

Non si tratta tanto di scoprire fatti nuovi, quanto di mettere in relazione alcune idee,
affatto notorie.

Il colorismo bizantino negli esempi di San Vitale aveva raggiunto un delizioso accosta-
mento di superficie late di colore, ma ciò era avvenuto a tutto detrimento del senso per la
forma e per lo spazio: era il colorismo più genuino ma anche più rudimentale: il puro tappeto.

In che modo superare questo stadio rudimentale del colore fondendolo con il senso
formale f
 
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