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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 13.1910

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Fasc. 3
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Zappa, Giulio: Bramante alla Certosa di Pavia
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https://doi.org/10.11588/diglit.24136#0216

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GIULIO ZAPPA

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condizioni in cui ci è stato serbato dal tempo, può considerarsi tede. Certo fra queste figure
così spontanee e impeccabili e quelle gigantesche degli Armati di Brera, impostate ancora
con certa rigidezza e, come è dato giudicare dalle poche intere, con non ben sicura corret-
tezza, è un divario anche cronologico : ciò che della presumibile data delle seconde già abbiamo
avuto occasione di dire riceve da questo rafffronto nuova conferma.

L'Argo e il Cristo alla Colonna appaiono invece, nella loro forza più spontaneamente
atteggiata, meno lontani dai santi e dagli angeli della Certosa, che sono tali da far sembrare
non iperboliche le parole con cui il Lomazzo ammirava nella facciata ormai perita di casa
Pirovano « le figure con tanta maestà e moto, che tutti i pittori se ne possono confondere,
e meravigliarsi non che disperare di poterle a gran prezzo aggiungere ».

La pittura di Bramante, grandiosa ed euritmica, sembra obbedire alle stesse segrete
leggi della sua architettura. Con lo stesso polso che è avvezzo a creare l’effetto a distanza
egli squadra, sbalza, allinea le figure umane come grandi membrature architettoniche, e
anche in esse alterna con intervalli regolari, quasi musicali, le zone di luce alle zone d’ombra;
e le fa vaste, di ampio petto, di membra possenti, quasi sferrando anche in esse la sua
chiusa energia avida di espandersi, di abbracciare e possedere lo spazio. Ma il decoratore
grandioso e armonioso è uno spirito profondo, che non s’appaga di quelle salde e quadrate
compagini di osse e di muscoli, ma cerca d’infondervi un po’ di se stesso: perciò egli riesce
anche un profondo pittore. Ritraendo in casa dei Panigàrola i maestri d’arme milanesi, egli
ne ha fatto quasi degli antichi eroi in riposo, con ancora un lieto tumulto di vita nelle
vene, dopo l’esercizio violento, le labbra imporporate e anelanti, gli occhi dilatati. Ma in
que’ loro occhi che si levano in alto, assorti, passa un lampo misterioso di pensiero e di
tristezza : passa, si direbbe, il pensiero del fato cieco clic li avvince, e li attende ad una
meta ignota.

Al Cristo di Chi arava Ile egli ha prestato un corpo erculeo, che pare insensibile, tetra-
gono quasi, al dolore. Ma lo sguardo di quell’olimpico Vincitor della Morte s’inumidisce e
si vela di una tristezza appassionata, che rivela tutto l’intimo tormento morale del martire.

In quei celesti eroi della Certosa di Pavia lo spirito più arditamente si afferma, e
impronta e illumina di sè il corpo. Il pittore cerca in essi espressioni meno impersonali ed
astratte: vuol definire e caratterizzare, ne’ diversi personaggi, il diverso tipo ideale e storico;
vuol dipingere una gradazione non solo di belli e forti corpi, ma pure di anime. Se nei
giovani santi ritorna un poco l’apollinea indifferenza dei giovani armigeri, il vecchio ve-
scovo flagellator 'di eretici e i due fondatori di ordini monastici hanno le teste energiche,
* i tratti imperiosi dei condottieri spirituali. Nel San Gerolamo Bramante esprime tutta la
nobiltà e la solitaria compiacenza della meditazione ; e nel San Pietro martire e più ancora
nel Battista egli rende infine, coraggiosamente, senza più travestimenti o idealizzazioni clas-
siche, la miseria fisica, il corpo macilento, consunto, ischeletrito, l’anima infiacchita da un
mansueto languore. Eppure anche la sparuta figura del mangiator di locuste è bella quanto
le altre, della stessa unica serena bellezza che è per Bramante — come sarà per un altro
divino Urbinate di cui egli può qui apparir quasi il precursore — la misura dcU’òspressione.

Giulio Zappa.
 
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