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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 13.1910

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Fasc. 3
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Venturi, Lionello: Studii su Michelangelo da Caravaggio
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https://doi.org/10.11588/diglit.24136#0235

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STUDII SU MICHELANGELO DA CARAVAGGIO

193

intelligente per riconoscere il valore di varie correnti ed apprezzarle convenientemente, ma
che non poteva interessarsi al proprio soggetto con la simpatia ch’egli non aveva, con la
curiosità che per esempio ampiamente dimostra verso Annibaie Caracci. Inoltre ambedue,
il Bellori e il Baglione, ci dicono quel che risultava neH’ambiente degli artisti, il meglio
informato forse, ma non il solo che potesse fornire notizie sul pittore. Giulio Mancini invece,
è sommario nell’esposizione di giudizi sull’arte di lui, è affatto mancante di analisi sulle
opere, ma è più abbondante degli altri per tutto ciò che mette il pittore in relazione co’ suoi
patroni. E si comprende. I committenti del Caravaggio erano chiese e cardinali : il futuro
medico di Urbano Vili poteva bene nelle sue più naturali conoscenze, i cardinali, trovare

notizie. E tale fonte è tanto più preziosa, in quanto l’ambiente artistico romano aveva

conosciuto il Caravaggio solo daH’affermazione della sua fama in poi, mentre i prelati l’avevan
conosciuto anche prima, quando povero era arrivato a Roma.

* * *

Su tre fatti della vita del pittore non accennati dagli altri biografi, il Mancini dà nu-
merosi particolari: lo sfruttamento subito al suo giungere a Roma da parte di Pandolfo
Pucci da Recanati beneficiato di San Pietro, la sua successiva malattia curata allo spedtile
della Consolazione, 1 i suoi rapporti col fratello. Tutti tre si riferiscono direttamente o no
al periodo della giovinezza. Sul periodo tardo, il Mancini è meno informato degli altri scrittori.

Se i primi due casi non hanno d’uopo di commenti, il terzo sì.

Anzi tutto, il modo con cui è riportato il racconto dimostra, a mio avviso, che la fonte

diretta ne è il cardinale del Monte; poi, il valore del racconto supera l’interesse per la
stravaganza di Michelangelo, quale ha veduto il Mancini, per illuminare i rapporti del pit.
tore con la sua famiglia. Consideriamolo.

Mentre dunque il Caravaggio era in casa del cardinale del Monte, un sacerdote, fratello
del {littore, attratto dalla fama di lui, volle venire a visitarlo. Ma, per quanto facesse, e, a
malgrado dello stupore del patrono cardinale, Michelangelo non volle riconoscerlo. Ora, una
postilla del ms. Marciano dice che « suo padre fu maestro di casa e architetto del marchese
di Caravaggio »'.1 2 Nel testo è detto che Michelangelo nacque «d’assai honorati cittadini».
Il fratello era «sacerdote, huomo di lettere, e buoni costumi». La sua famiglia dunque era
abbastanza danarosa per mantenerlo in un centro artistico, a Milano, dove egli studiò 405
anni diligentemente. Tuttavia, quando egli «passò a Roma» si trovò «poco provvisto di
denari », anzi, secondo il Bellori, « senza ricapito, e senza provvedimento, riuscendogli troppo
dispendioso il modello».3 Il riav.vicinamento di questi fatti permette di attribuire ai parenti,
a malgrado della loro condizione, le angustie del pittore; e spiega il diniego opposto al
riconoscimento del fratello con possibili torti famigliari, che la fierezza selvaggia del carattere
di Michelangelo non gli permise di dimenticare.

* * *

Su altri fatti, la testimonianza del Mancini completa quella del Bellori e del Baglione.
La dimora a Milano è da tutti e tre ammessa, ma solo dal Mancini e dal Bellori egual-
mente limitata a 4 o 5 anni. La dimora a Roma del Caravaggio anteriore alla sua presenza
nello studio del D’Arpino è in vario modo raccontata. Il Mancini ricorda, come abbiam

1 Una ricerca nelle carte dell’ospedale presso l’Ar-
chivio di Stato di Roma mi ha dato esito negativo,
per le molte mancanze di registri dal 1585 al 1600,
tempo presumibile della malattia del Merigi.

2 L’esistenza di tali marchesi è ricordata da Felice

Calvi (Famiglie Notabili Milanesi, II, Milano, 1881,
Melzi, tav. IV) in occasione del matrimonio (1730) di
Pietro Paolo marchese di Caravaggio con Maria An-
tonia Melzi.

3 Op. cita, pag. 202.

I.'Arte. XIII, 25.
 
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