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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 13.1910

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Fasc. 4
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Zippel, Giuseppe: Paolo II e l'arte, [1]
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GIUSEPPE ZIPPEL

258

un altare da lui eretto in San Pietro alla memoria dello zio, Eugenio IV : ma non possiam
dire altrettanto del primo verso. E ammissibile, secondo la grafia dell’epoca, la forma alumpnus,
per a lumini s ; mentre è affatto irregolare e non trova riscontro in documenti romani contem-
poranei l’abbreviazione alupus, invece di alupnus. Ci sembra, inoltre, che mal si accordi, stili-
sticamente, la espressione « generosus alumnus » con l’aggettivo « venetus » : più corretta
sarebbe stata la forma « Venetiarum generosus alumnus ». Si noti, infine, che nella incisione
del cammeo la parola a lupus si presenta, secondo l’Astolfi che lo potè esaminare più volte,
in qualche modo separata e distinta dalle parole precedenti.

Per le ragioni su dette, vogliamo noi pure avanzare, fra le tante che si sono fatte sulla
controversa questione, la nostra ipotesi. L’artista, che poteva chiamarsi A lupo, avrebbe,
incurante della metrica, ma non del favore del prelato munifico e ambizioso, significata la
sua devozione al Mecenate con la iscrizione, il cui senso risulterebbe ben chiaro e compiuto,
ammettendo che Alupus non faccia parte di essa, ma sia il nome dell’autore della incisione:

Pietro Barbo Veneziano, cardinale e vescovo di Vicenza, è il mio generoso padrone.

La ipotesi non sembrerà troppo ardita e strana, quando avremo soggiunto, che in un
registro della Camera apostolica a tempo di Paolo II trovasi notizia del seguente pagamento,
fatto il 17 marzo 1471, per ordine del cardinale Marco Barbo, commissario del Papa:
« Aluph alamanno, familiari domini episcopi Urbinatis, fior, unum et bon. quinque, prò mi-
« matura unius libri ceremoniarum, missi in Ungariam».1

Il vescovo di Urbino, ai cui servigi stava l’artista straniero di nome Alup, adoperato dal
papa Barbo per ornare un libro destinato a qualche prelato o alto dignitario d’Ungheria,
è quel Battista Meliini, di illustre prosapia romana, il quale visse presso Paolo II, nella Corte
pontificia, fin dal principio del suo pontificato.2 Non potrebbe questo ignoto miniatore (troppo
comuni sono gli esempi di artefici che si dedicavano alle arti plastiche e a quelle del pennello
in pari tempo, nell’età del Rinascimento, perche non si possa supporre anche nel nostro
artista la duplice qualità), non potrebb’egli essere l’autore di una parte, almeno, del prezioso
reliquiario, i cui nielli si palesano evidente prodotto dell’arte del Settentrione?

(<Continua). Giuseppe Zippel.

1 Archivio di Stato in Roma, Diversorum Patiti II,
1470-1471, c. i7ib. Si avverta, che in questi registri
camerali troviamo spesso attribuito alla stessa per-
sona, indifferentemente, l’appellativo alamannus, o de

Planària: onde potrebbe anche il nostro Aluph es-
sere stato un fiammingo, anziché un tedesco.

2 Vedi la nostra edizione delle Vite di Paolo II,
cit., pag. 2:3.

Post-scriptum. — Il sig. Carlo Astolfi ha fatto egli pure, di questi giorni (cfr. sopra, pag. 252, nota 4),
la facile scoperta della descrizione del reliquiario eli Montalto, che stava nascosta nell’inventario delle collezioni
artistiche del Barbo, e si è affrettato a riprodurla, dalla edizione del Muntz, nel fascicolo di maggio di Arte
e Storia, giunto a Roma il 23 di questo mese, quando le presenti note stavano già composte in tipografia e
pronte per la stampa. Il lettore potrà, confrontando, riconoscere che la mia pubblicazione non riesce inutile,
dopo quella dell ’ A stolti ; il quale ci dà un’altra, interessante notizia riguardo al prezioso cimelio artistico. Per
iniziativa di lui, ai 26 dello scorso aprile vennero aperte le lamine del reliquiario (che si mostravano spezzate
nel mezzo e tenute ferme da un perno), recanti la dedicatoria di Sisto V ; e si trovò nell’interno di esse la
originaria iscrizione, corrispondente a quella del cammeo e incisa in parole intere. Il primo verso dice: Petrus
herus incus est venetis generosus alumnus; con che, parrebbe risultare insostenibile la nostra ipotesi. Rimane,
tuttavia, la stranezza della forma alupus, mentre la iscrizione della lamina presenta la forma consueta e regolare
del vocabolo. Sarebbe bene, per più ragioni, che il sig. Astolfi ci offrisse una più esatta descrizione del trava-
mento, e la riproduzione del calco (che non si sarà mancato di eseguire) della iscrizione.

Roma, 30 maggio 1910.

G. Z.
 
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