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Bullettino di archeologia cristiana — 1.1863

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Nr. 8 (Agosto 1863)
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L' iscrizione dell'arco trionfale di Costantino
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Un' accusa contro la memoria di S. Giovanni Crisostomo dileguata
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https://doi.org/10.11588/diglit.17350#0068

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— ec-

citati da S. Giustino il Filosofo sono poste in bocca
alla Sibilla le parole seguenti: Non tremate Voi e non
temete Iddio ispettore delle nostre azioni, altissimo, che
tutto conosce, lutto vede, di tutto è testimone? (1). I pagani
però erano assai lontani dal confessare, che la reli-
gione de' cristiani era quella del Dio sommo ed uno;
il loro furore idolatrico non cessava dal chiamare atei
i fedeli di Cristo e dal condannarli come seguaci d'una
superstizione nociva. Ma quando Costantino medesimo
si dichiarò cristiano , non fu più lecito nè possibile
ai pagani chiamare atei e rei di nociva superstizione
i cristiani. Essi si rassegnarono a chiamarli cultores
summi Dei, cultores Dei: e come Lattanzio alla cri-
stiana religione dava il nome di religio Dei, così Sim-
maco pagano volendo dire, che grande numero degli
ottimati di Benevento eran cristiani, scrisse Deum ma-
gna pars (eorum) veneratur (2). Ma l'istesso Simmaco,
che attribuiva in quelle parole ai cristiani quasi di-
stintiva loro proprietà il culto di Dio, aveva sempre
in bocca il nome di Dìo, e le forinole Deo volente,
per Deum, adjutu Bei, praefata Dei venia, praefata
ope Dei, opto libi Dei favorem, Deo juvante, ope divi-
nitatis, auspice Deo (3). Era adunque divenuta quasi
comune ai pagani ed ai cristiani l'invocazione di Dio
e della divinità; e Simmaco medesimo ce lo spiega nella

(1) Ov rféusT ovfìè (pofSsìtfSs Se'ov, ròv JttiVxottov ùpùvy

Carni. Sybill. ed. Alexandre Paris 1841, t. I pag. 14. Questi versi
sono riferiti da Teofilo ad Aulolycum lib. Il, 36. (Cf. Juslini, Cohort. 16):
il Torlacio (ap. Alexandre 1. c.) li crede scritti da un cristiano circa il prin-
cipio del II secolo.

(2) Symmachi, Epist. ed. Parei I, 3.

(3) L. c. lib. 1, 2; II, 26; IV, 14, 69; V, 13, 20, 95; VI, 19, 33, 65,
68; VII, 14; VHI, 13, 58; IX, 22, 106, 132; X, 15, 54 ce.

sua relazione a Valentiniano, Teodosio ed Àrcadio per
il ripristinamento dell'ara della Vittoria. Questo docu-
mento, che è una vera apologia del paganesimo pre-
sentata agli imperatori cristiani, poggia sul principio,
che la divinità adorala dai pagani, e quella di cui sono
cultori i cristiani debbono essere considerate come una
sola:aeguum est quidquid omnes colunt unum putari{\).
Laonde S. Ambrogio rispondendo a Simmaco esclamò:
Deum loquuntur, simulacrum adorant (2).

Questi brevissimi cenni bastano a farci intendere,
che i pagani , quando il cristianesimo da religione
proscritta divenne quella del principe, cercarono una
quasi transazione tra la loro idolatria e la novella fede
dell'imperatore. Questa transazione era facile e pronta
nel concetto astratto della divinità „ ed anche nella
credenza del Dio sommo ed uno. I pagani nel lin-
guaggio officiale e direi quasi di convenzione affet-
tarono di credere altra differenza non essere tra il loro
culto e quello de' cristiani , se non che questi ado-
rando il sommo Iddio rifiutavano le religioni patrie e
le cerimonie avite, ed essi adoravano la suprema di-
vinità serbando intatte le religiose istituzioni degli avi.
Or chi non vede, che lo parole 1NSTINCTV D1VINI-
TATIS segnate nell' iscrizione dedicala a Costantino dal
senato in gran parte pagano, esattamente rispondono
a questo stato delle credenze e delle religioni nell'im-
pero romano sotto gli imperatori cristiani ? Quelle pa-
role lungi dall'essere una professione di fede cristiana
posteriormente inserita nell' epigrafe pagana e più o
meno violentemente in essa intrusa, sono quasi un mezzo
termine tra il paganesimo e il cristianesimo.

(1) L. c. lib. X, 61.

(2) S. Ambrosii, Conlra Symm. opp. ed. Maurin. T. Ili p. 877.

Un'accusa contro la memoria di s. Giovanni Crisostomo dileguata.

La pubblicazione delle opere di Bartolomeo Bor-
ghesi, il celeberrimo archeologo italiano della nostra
età, la quale si vien facendo a Parigi per ordine di
S. M. l'imperatore Napoleone III, è ora giunta al punto,
ove ha luogo la ristampa del dotto scritto divulgato
nel 1829 (1) sopra gli Excerpta Vaticana historicorum
Graecorum del Cardinale Angelo Mai (2). Quello scritto
terminava coli' accennare, che nei frammenti di Eunapio
storico greco rinvenuti dal Mai è narrata l'uccisione
del console Fravito come procurala da un Giovanni,
che sembra non poter essere altri che il Crisostomo.
E il Borghesi conchiuse così: « Ma se ciò è, sarà
» questa certamente una delle solite calunnie, delle
» quali Eunapio caldo partigiano del paganesimo suole
» aggravare i cristiani ; e a noi basterà di averla ac-
» cennata ai signori accademici della religione catto-
» lica, per essere certi, che la loro pietà non sarà
» tarda a vendicare la memoria di uno de' più insigni

» campioni della chiesa contro le accuse del greco ido-
» latra. » All' invilo del Borghesi ninno rispose ; ed
oggi nell'annotare il suo scritto per la edizione im-
periale non potendo citare alcuno, che abbia fatto
quell'apologia, ho promesso di farla io medesimo, e
m'accingo senza indugio a dettarla.

Fravito, o Fravita Goto di nazione, di religione pa-
gano, fu uno de'più grandi capitani del suo secolo.
Nell'anno 401 ebbe i fasci consolari in Oriente; e
la sua dignità fu prontamente promulgata in Boma e
nell'Occidente, come le cristiane iscrizioni c'insegna-
no (1). Ma dopo questo, ninna notizia più sì aveva di
lui ; ed ecco gli estratti delle storie di Eunapio sco-
perti dal Mai nella Vaticana ci rivelano, ch'egli fu
ucciso per opera d'una fazione capitanata da un cotal
Giovanni potentissimo in corte e discepolo di Jerace
retore alessandrino (2). Eunapio chiaramente ci si ma-
nifesta per avversario personale di quel retore Jerace.

(1) Giorn. Arcad. T. XL1 p. 96-134; T. XUI p. 177-179, 322-341.

(2) Scriplorum veterum nova collodio T. II.

(1) V. Inscr. Christ. T. I p. 212.

(2) Mai, 1. c. p. 292.
 
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