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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Venturi, Adolfo: [Rezension von: Lionello Venturi, Catalogo della raccolta Gualino]
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https://doi.org/10.11588/diglit.55345#0123

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RECENSIONI

9i

sposizione della stoffa sul trono, è un primo tentativo di vita
nuova, e si traduce in acutezze spinose di contorni che scom-
paiono dalla pittura torinese. In questa, il ritmo lineare,
accennato appena dall’inclinazione delle spalle e del capo,
raggiunge una perfezione e una nobiltà forse mai superati
nel Dugento italiano. I contorni, lontani dalle sinuosità
melodiche di Duccio, sono schematici, vicini alla verticale,
impronte di tradizione romanica quando già spiravano in
Toscana le prima aure gotiche, che nella vita impetuosa del
bimbo accorrente tra le braccia materne hanno un chiaro
accenno, come negli angeli turbinanti della Crocefissione
assisiate. Tutto concorda a proclamare il nome del Fioren-
tino nell’ancona torinese: la maestà incomparabile della
Vergine, il volto massiccio e severo con larghi lineamenti
d’impronta romanica, il colore, che nei suoi accordi di lilla
e di rosa, di giallo avorio e di azzurro, è l’annuncio di uno
stil nuovo nella pittura fiorentina, proprio al sorgere dello
stil nuovo di Guido Cavalcanti e di Dante, mentre in Siena
le ancone di Duccio e di Simone irradiavano ancora i mistici
splendori della tradizione bizantina. Dall’opera nel Louvre,
serrata costruzione romanica, dove il pittore riconosce solo
la legge architettonica e imposta le due figure d’angeli in
primo piano come pilastrini di sostegno al trono, a questa
dove mostra di avere profondamente sentito i rapporti
ritmici tra linea e linea, tra colore e colore, si compie l’evo-
luzione dell’arte di Cimabue, anzi dell’arte fiorentina del
Dugento. I contorni sottili e rigidi, le inclinazioni contrappc-
sate, il gusto sobrio e raffinato degli ornamenti, pongono
l’ancona Guaiino tra le pagine più belle del libro d’oro del-
l’arte dugentesca italiana.
Il Cristo benedicente della Collezione Guaiino è certo fra le
massime creazioni di Melozzo. Mai il colore del Romagnolo
fu così intenso e squillante, così materiato di sostanze pre-
ziose, neppure nelle vesti di velluto, nelle chiome flave degli
angeli che ascendevano col Cristo vincitore della morte nel-
l’abside dei Santi Apostoli a Roma. Le carni del San Seba-
stiano Corsini, incompiuto, e quelle della Madonna di Casa
Benson, hanno una trasparenza biondo rosea, le chiome un
biondo chiaro e luminoso: solo squillo nell’anconetta le ali
dei serafini, rubino e smeraldo. Ma il quadro Guaiino è una
lastra d’oro rutilante su cui splende la fiamma della tunica
di Cristo, della croce indicata nella grande aureola a tra-
foro, delle labbra cinabrine: il colore delle carni, acceso, dà
risalto agli occhi periati. Soli toni freddi il roseo e il cile-
stre degli angeli che sorreggon la corona sul capo di Cristo,
come nel quadro di Antonello a Messina sul capo della Ver-
gine, il bianco e l’azzurro del parapetto, che trova subito
a contrasto l’avorio del libro aperto, l’oro dei candelieri, il
bordo a rombi e fiori. Il pittore aduna intorno all’Onnipo-
tente la pompa della sovranità, le luci del rubino e dell’oro;
egli, venuto di Romagna, sembra far rivivere in quest’im-
magine color di fiamma viva la tradizione bizantina del mu-
saico; circonda il Cristo di paradisiaci fulgori. Il suo proto-
tipo era tuttavia con ogni probabilità qualche antico mu-
saico o pittura, come dimostrano le immagini, ripetute nei
dintorni di San Giovanni in Laterano, del Redentore benedi-

é
cente con due candelieri ai lati, simboli della sapienza e della
luce. L’antico prototipo ci spiega la ieratica maestà della
posa e forse anche l’intensità del colore che fa apparir il
quadro come una vetrata accesa dal fuoco del tramonto.
Il volto manca di rilievo, impronta fissa sopra una tela d’oro,
ma le pieghe della tunica di velluto sono ampie e corporee,
e inoltrando verso il primo piano ogni particolare prende evi-
denza plastica: le pieghe, il volume, l’altare di marmo. Il
fondo irreale, la bellezza calma dell’immagine, fìssa per l’eter-
nità nel suo gesto magnetico, lo splendore cromatico del-
l’Oriente, riacceso di un tratto, nel Quattrocento, con una
intensità ignota alla stessa Venezia, completano la nostra
conoscenza delle possibilità aperte al genio immaginoso
di Melozzo, che fa rivivere nel quadro Guaiino la pompa
di una sacra icona, e prelude nell’abside dei Santi Apostoli
alla espansione formale del Cinquecento.
Fra i più rari esempi dell’arte di Sandro Botticelli nel pe-
riodo successivo alla dimora in Roma è la Venere Guaiino,
replica della Venere Anadiomène, con varianti leggiere,
quanto basta perchè l’onda ritmica delle linee trovi equili-
brio rispetto al fondo unito, al piano marmoreo di base.
Lo sfondo irreale, la semplice base di pietra, lasciano ai
nostri occhi godere appieno la forma bella, affinata in questa
nuova edizione, la cadenza nervosa e torpida a un tempo
del prezioso stelo umano, delle chiome spioventi sul torso,
del velo delineato da un orlo di cristallo sull’ombra del
fondo. I rapporti di colore, tra il freddo grigiazzurro del
marmo e il tono ambrato delle carni, sono di una delicatezza
ideale come le gradazioni di luce, l’ombra trasparente che
sembra cader su cristallo. L’acconciatura è un capolavoro
decorativo di Sandro Botticelli, cornice di fiammelle e di
trecce come giunchi pieghevoli alla grazia infantile del volto:
due ciocche si snodano sulle tempie in nastrini schioccanti:
una perla posa come goccia di rugiada sulle chiome di
questa delicata figlia del mare. La destra, che nel quadro
Uffizi sfiora il seno ignudo, qui trattiene i lembi di un
velo, l’ornamento più tenue che il pittore abbia tratto dai
costumi del suo mondo di fate per abbigliarne l’immagine
mossa dall’aria e dal sogno: trama di sottigliezza fanta-
stica, velo di rugiada alle carni argentine. Il fondo scuro
aggiunge risalto ai contorni incisi da un solco trasparente,
da un luminoso orlo di cristallo.
Poche gallerie europee vantano pitture di Antonello, e
tra queste è la raccolta Guaiino, che comprende Un ritratto
primitivo ancor stretto a moduli fiamminghi, limitato nel
rilievo in confronto alle opere della maturità: il Condottiero
del Louvre, il San Sebastiano di Dresda, il Ritratto Trivulzio.
La figura è sopraelevata dal piano di base, come appunto si
vede in molti esemplari fiamminghi, dai Van Eych a Rug-
giero van der Weyden, mentre gli altri ritratti antonelliani
son tagliati poco sotto l’altezza delle spalle. Inoltre, nel
quadro Guaiino, i toni scuri del fondo e della veste si acco-
stano così da attenuare, quasi per azione di ombra diffusa e
di atmosfera, il rilievo del busto. E tuttavia, la sintesi co-
struttiva della forma risulta perfetta. Bastano a questo scopo
la viva luce che batte sul parapetto marmoreo e sul volto,

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