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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Brizio, Anna Maria: Note per una definizione critica dello stile di Paolo Veronese
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https://doi.org/10.11588/diglit.55345#0251

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NOTE PER UNA DEFINIZIONE CRITICA
DELLO STILE DI PAOLO VERONESE

Dinanzi ad un’opera genuina di Paolo — troppe finora sono state a lui attribuite che
dal suo pennello non turono mai tocche — l’impressione prima è di gioia e di perfetto
appagamento dell’occhio: i colori si stendono gli uni accanto agli altri brillanti, eccitantisi
a vicenda, schietti sì che possono distinguersi ad uno ad uno come si distinguono le note
pur entro il motivo che con i loro rapporti creano; e in essi si avverte subito che risiede
la maggior forza e il maggior valore dello stile del Veronese.
Egli ha infatti un’acutissima facoltà di percepire i più fuggevoli rapporti dei colori
fra di loro, le loro influenze reciproche, le modificazioni che inducono gli uni sugli altri,
i loro contrasti e la loro qualità intrinseca; ed applica per istinto, pur senza, conoscerle,
le leggi ottiche studiate e fissate dalla scienza moderna, dal cui uso sa far scaturire quella
particolare luminosità e nitidezza del colorito, che è il tratto che per primo colpisce nella
sua pittura e la rende per molti lati diversa e lontana dai metodi e dagli effetti della
pittura veneziana contemporanea. Lo scindere l’opera di Paolo Veronese da quella di
Tiziano e Tintoretto è il primo compito di chi voglia comprendere la sua arte nella sua
piena individualità. Hanno avuto i critici veneziani coscienza di questa originalità dello
stile di Paolo di fronte ai continuatori della tradizione giorgionesca?
Il primo che ne tratti con l’evidente intento di definirla criticamente, il Ridolfi,
non dimostra di accorgersene. Egli nelle Meraviglie dell’Arte, facendo un confronto fra
Tintoretto e Veronese, non ha per iscopo di porre in risalto un contrasto stilistico, ma
piuttosto di istituire un parallelo fra due attività, che ambedue, sia pure per vie diverse,
mirarono ad abbellire la natura e ad esaltare l’arte, l’una « con l’esprimere le figure sue
con erudite forme, pronti atteggiamenti e con gran maniera ed energia di colorire, com-
ponendo così spiritosi pensieri che sono insuperabili », l’altra con le « maestose inVentioni,
la venustà dei soggetti, la piacevolezza dei volti, la varietà dei sembianti, la vaghezza degli
infiniti allettamenti ». I due ordini di elementi contrapposti non hanno carattere stili-
stico, ma piuttosto psicologico e illustrativo, sì che noi possiamo logicamente dedurre che
Ridolfi confonde del tutto l’arte di Paolo con la tradizione veneziana.
Il Boschini invece nel 1674, trattandone nelle Ricche Miniere, ne sente vivacemente
le particolarità e le enuncia con un periodare ove l’enfasi seicentesca un po’ gonfia è
animata e colorita d’entusiasmo: « Deve il gran Paolo Caliari Veronese chiamarsi il teso-
riero della pittura, perchè da quella gli sono state impai tite tutte le gioie del suo erario
prezioso, con facoltà di poterle distribuire a suo libero arbitrio di modo che si vede
tutto il mondo gioiellato dal suo pennello... Si valeva di una mezza tinta nelle carni
come nei panni, nell’architettura e nel rimanente... Così dopo di aver dipinta tutta la
massa nella maniera espressa... ritoccava le carni ne’ chiari e nell’ombra, con pennellate
così risolute e brillanti che le facea comparire vive, lasciando le mezze tinte nello stato
primo distribuite: di modo che si possono numerare tutte le pennellate come se fossero
perle, rubini, zaffiri, smeraldi e le gioie pili preziose che rechi il Levante ». Il Boschini
dunque ben scorge e pone in rilievo l’importanza del tocco nella pittura di Paolo, la
purezza e nitidezza del suo colore; e s’egli avesse contrapposto questi elementi alla pit-
 
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