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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Brizio, Anna Maria: Note per una definizione critica dello stile di Paolo Veronese
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https://doi.org/10.11588/diglit.55345#0252

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AAA7A MARIA BRI ZIO

tura a velatura e ad impasto di Tiziano, certo egli sarebbe giunto a scindere Paolo dalla
tradizione veneziana. Ma s’egli ha intuizione di questa differenza, non però l’esprime
chiaramente: essa è implicita nelle sue parole, non è svolta e dialettizzata nella sua defini-
zione. Uguale osservazione può ripetersi a proposito dello Zanetti, la cui critica, superiore
nella finezza e complessità di sviluppi a quella del Boschini, non trascura nessun tratto
essenziale dello stile di Paolo, se non forse il suo quattrocentismo, ma non giunge neppur
essa a contrapporlo alla pittura locale contemporanea. Veramente che Zanetti ciò non
facesse può facilmente spiegarsi. Egli scriveva nel '700, in un periodo cioè in cui l’arte vene-
ziana nel suo rifiorire si ispirava in prevalenza a] Veronese, il quale veniva ad innestarsi
così radicatamente nella tradizione locale, che occorreva uno sforzo d’astrazione per
pensarvelo diviso nel '500 di fronte ai pittori suoi contemporanei. Ciò non toglie ch’egli,
pur essendosi inserito saldamente nella scuola veneziana, non ne abbia avuto inizialmente
origini e tendenze diverse; e questo deve essere rilevato e chiaramente espresso per ca-
pire e definire storicamente e stilisticamente la sua posizione.
Se fra Tiziano e Tintoretto, per quanta sia la diversità di temperamento e di sviluppi
artistici, si avverte chiaramente la comunanza del punto di partenza, accostandoci invece
alla pittura di Paolo sentiamo di avere dinanzi un mondo retto da leggi diverse e ten-
dente ad altri effetti artistici.
Or dunque sorge per prima spontanea la domanda, se essa possa o no considerarsi
tonale, essendo questo il carattere di base di tutta la pittura veneziana del '500. Occorre
intendersi sulla definizione di tono. Se per tono s’intende la speciale interpretazione data
al colore dalla scuola giorgionesca, per cui una tinta predomina sulle altre e tutte le soffonde
di sè, abolendo i netti contorni, gli stacchi decisi e sostituendovi una fusione di masse
cromatiche morbide, a velature. Paolo non è certamente pittore tonale. A ciò vorrebbe
giungere l’Èva Tea nel suo articolo sul « Cromatismo di Paolo Veronese », 1 contrap-
ponendo cromatismo a tono. Ma ella stessa finisce coll’avvolgersi inestricabilmente in questi
due concetti, di cui non dà una definizione abbastanza chiara e comprensiva. Poiché,
se cromatismo si ha « quando i colori si dispongono sul quadro come sulla tavolozza di un
pittore lindo: schietti, distinti... », come si può limitare l’arte di Paolo di fronte a. quella
dei Primitivi, di fronte a quella dei Veronesi a lui anteriori? Anche la Tea trovasi co-
stretta poche pagine dopo a modificare il suo atteggiamento primo ricorrendo per la
definizione dell’arte paolesca al concetto di pseudo-tono, assurdo logicamente, ma indizio
di una sensibilità non appagata della primitiva, soluzione e accenno che può essere assai
fruttuoso per chi sappia svolgerne l’intuizione che vi si trova racchiusa e logicizzarla.
Ella insomma sente che i colori di Paolo sono legati fra di loro da rapporti che ne fanno
scaturire luminosità; ma avverte che intercorre una differenza fondamentale fra la sua
maniera di adoprarli e quella della scuola giorgionesca, e da ciò arguisce una mancanza
di tono nella pittura di Paolo. Ma non qui giace la differenza: io sono convinta che la
pittura paolesca sia tonale, poiché il concetto di tono ha una comprensione assai più
vasta di quanto la Tea non mostri di credere e non può limitarsi ai modi della scuola
giorgionesca. Quando in un dipinto i colori sono tutti accordati con unità di ambien-
tazione luminosa, in esso ha luogo il tono. Cioè: un pittore che ricerca solamente la bel-
lezza del colore gemmeo porrà accanto ad un azzurro adoprato nella sua massima inten-
sità un giallo quanto più possibile intenso. Simile processo seguivano i Bizantini e i Primi-
tivi in genere quando stendevano i loro sfondi d’oro dietro i santi ammantati d’azzurro.
Ma noi sappiamo che la massima luminosità del giallo è superiore alla massima luminosità
dell’azzurro. Quindi accostandoli ambedue nel loro massimo grado di splendore noi rom-
piamo l’unità luminosa dell’ambiente, per ottenere la quale dobbiamo invece smorzare
lievemente la luminosità del giallo per adeguarla a quella dell’azzurro, se i due colori

1 L’Arte, 1920, fase. I-II.
 
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