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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Longhi, Roberto: Recensioni di un libro sul Romanino
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RECENSIONI

DI UN LIBRO SUL ROMANINO'"

Mi è grave non poter ricambiare in qualche
modo al signor Nicodemi la cortesia con la quale
egli ha voluto fare ripetutamente cenno in questo
suo volume del mio saggio su Cose Bresciane del
Cinquecento apparso in queste colonne durante il
1917; e tanto più penoso mi riesce il compito ch’io
mi debbo pur assumere, con l’appoggio della storia
e delle sue verità, onde impedire il solitamente ful-
mineo diffondersi epidemico dell’errore, in quanto
è oggi la terza volta che mi tocca recare un
giudizio completamente sfavorevole sull’opera di
questo insistente storico lombardo.
Io ho perso financo il brio dei tempi belli, quando
non avrei esitato a intitolare questa mia rassegna
a un dipresso come « un terremoto nel Bresciano ».
Non ne farò nulla e mi limiterò ad un’arida espo-
sizione di fatti cifrati dal numero delle pagine che
li contrassegnano nel volume del N., riuscendo
pressoché arduo tener dietro altrimenti a un la-
berinto scritturale il cui indice non è composto
che di una serie di numerali romani. E, o selva
irsuta! o scaruffata pazzia del dettato! dove af-
ferrarvi se non ci soccorresse a buon conto la com-
putisteria delle carte?
Per non esser anche noi, tuttavia, contagiati di
quel disordine noi sì ripartiremo la nostra espo-
sizione nel modo che segue: I. Opinioni del N.
intorno ai precedenti bresciani del Romanino -
II. Opinioni del N. sul Moretto - III. La que-
stione di Alessandro Bresciano - IV. Lo pseudo-
Alessandro Bresciano - V. Opinioni del N. sul
Romanino giovine - VI. La questione di Calisto
Piazza - VII. La maturità e la vecchiezza del Ro-
manino - Vili. Seguito del Romanino - IX-X-XI.
Critica dell’appendice, del Catalogo all’opera del
R., della bibliografia sul R. Ed avvertiamo che se in
questa rassegna ci avverrà di appuntare piuttosto
dei fatti che delle teorie, ciò va imputato non già
a una nostra stanchezza teoretica, ma al fatto che
le teorie del Nicodemi non ci appaiono così chiaie,
nè così intese, nè così conseguenti fra se medesime,
d’una in altra parte del libro, da meritare una con-
futazione continua che l’autore è anche troppo
curiosamente proclive a infliggersi di per sè e
magari senza avvedersene.

(1) Gerolamo Romanino di Giorgio Nicodemi, Brescia,
Società del Romanino, 1925.

Ma ci terremo ai piccoli fatti, dai quali tuttavia,
perchè falsati o fuorviati, ci pare dipendere questa
frenesia, anche teoreticamente aberrante, che do-
mina nel libro, che pure avevamo aperto con le
migliori disposizioni di spirito.
I. Opinioni del N. sui precedenti bresciani del
Romanino. — Vi si disserta disordinatamente del
Poppa, di Paolo da Caylina, del Ferramela, del
Civerchio, del Bramantino e del Savoldo, con
quanta utilità non sappiamo, giacché il N. pare
altrove propendere egli stesso per la formazione
puramente Veneziana dell’artista o almeno su fatti
d’arte primamente avvenuti a Venezia, ciò che è
pressapoco l’opinione più sennata; sarebbe dunque
stato miglior consiglio discorrere di Cremona e di
Ferrara, delle ultime larghissime forme del Boccac-
cino e delle prime prestamente razzanti del Dosso;
dei fatti di Pier Maria Pennacchi, Lotto, ecc., in-
vece che di Civerchio, di Ferramela, chè infine
i precedenti bresciani del Romanino non esistono.
Ma non occorre, come ripeto, diboscare a fondo
queste selvette opinabili; sì, con qualche aggiustato
richiamo, snidarne bruta selvaggina di fatti az-
zoppati come sarebbero:
c. 26. L’attribuzione al Foppa, sic et simpliciter,
dei due frammenti residui del grande ciclo d’af-
freschi distrutti già nella Scuola dei Ss. Sebastiano
e Marco a Padova.
Farmi che in verità gli studiosi italiani vadan
perdendo rapidamente la facoltà di far nuove at-
tribuzioni; il guajo maggiore essendo ch’essi non
perdano ad un tempo anche la voglia, di farne.
Qui veramente, l’attribuzione, che, per quanto
dispregio le possano ostentare gl’incompetenti e
gl’intrusi nel campo della nostra critica, permane
pur sempre il problema più produttivo d’illumina-
zioni storiche che uno storico d’arte possa scalare,
l’attribuzione, dico, diventa uno di quei giocattoli
che, dichiarati infrangibili, si rompono appena dati
fra le mani del terribile fanciullo.
O perchè tentar di mettere a remore il campo
degli studi con questi battesimi fracassoni di opere
quasi immeritevoli di tal cerimonia o forse degne
che il rito dell’immersione si tramuti, per grazia,
in un totale affogamento? Giacché quei due fram-
menti d’affreschi nessun sano intelletto vorrebbe
mai imputare al grande Foppa, e togliere inutil-
 
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