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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 29.1926

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Venturi, Adolfo: La " Fuga in Egitto" di Antonelllo da Messina
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https://doi.org/10.11588/diglit.55345#0157

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LA “FUGA IN EGITTO,, DI ANTONELLO DA MESSINA

La prima volta ch’io vidi, in una privata galleria romana, la Fuga in Egitto che qui
pubblichiamo (tavola I e II), rimasi abbagliato e quasi smarrito davanti alla mera-
vigliosa opera, senza che un nome subito ricorresse al mio pensiero. Si apriva al mio
sguardo un lembo di campagna con erbe e alberi d’ideale freschezza, dove gli umili ca-
solari, le piante, il fiume, i poggi orlati di verde si disponevano entro lo spazio con
linee di tanta ampiezza e regolarità geometrica da dar l’illusione che quel lembo fiorito
di terra accogliesse come in un tempio circolare il gruppo divino. Fu appunto questa
solennità architettonica, questa impeccabile misura costruttiva, che mi rivelò il nome
dell’autore: Antonello. Il paese si estende ad anfiteatro: la riva del fiume s’aggira ad arco
seguendo l’orlo del piato; par che il suolo rotei, con i suoi piani multicolori, intorno al
disco di terra posto a base del somarello. Simile schema si vede nella Crocefissione di
Londra, dove una base circolare isola dal paese la Vergine e Giovanni intorno alla croce.1
Il paese non è schematico, panoramico, quanto nelle Crocefissioni di Anversa e
di Londra: avvicinato all’occhio dello spettatore, lascia più chiaramente distinguere la
forma e il rilievo dei particolari, foggiati sopra schemi goemetrici di cono e di piramide:
il poggio, a destra, in forma di grande calotta sferica, è coronato da una frangia scura
di piante, quali si vedono a contorno delle alture nelle due Crocefissioni: le chiome degli
alberi massicci, sulla riva del fiume, sembrano grandi palle modellate dal plastico sici-
liano con la sua predilezione per la sfericità dei volumi.
La vite indicata rapidamente, con mobili chiazze d’ombra, sopra una pergola nel
fondo del San Sebastiano di Dresda, ci spiega la corsiva scioltezza del pennello che com-
pone di macchie di colore più o meno cupo, più o meno leggiero, la fuga di pioppi fragili,
delicati, emozionanti nella loro sensibilità alle variazioni atmosferiche come un angolo
di paesaggio olandese del Seicento. Non ricordiamo pittura ove le masse degli alberi (fig. i)
uguaglino in leggierezza quelle che nella Fuga in Egitto si vedono presso il ponte, di un
verde tenero e pallido, di un fogliame flessibile che sembra zampillar dal suolo, nè ove sia
un prato simile a quello che circonda il fiume, per la morbida freschezza delle erbe smal-
tate di fiori, lievi come l’aria che soffia fra stelo e stelo, nel vaporoso tappeto. Le qualità
architettoniche della composizione italiana e il senso atmosferico dei Fiamminghi si fon-
dono in questo scenario di un’impronta così eccezionale e di una così eccezionale impor-
tanza nella storia della pittura veneta.
Le acque lisce, del più puro azzurro pierfrancescano nel gomito presso il ponticello,
accerchiano il prato come nastro di raso; sembra immota su quello specchio limpido
la barca con figurine di rematori, erette, a piombo, simili per la stasi dell’atteggiamento
e per il profilo snello, ad alcune macchiette nel fondo del San Sebastiano di Dresda.
Dal paese, prossimo ai fondi del Quattrocento veneto per la luce diffusa nell’atmosfera
e la pittoresca varietà degli elementi, e pur così profondamente diverso di spirito, si
sprigiona un senso religioso di pace, di serenità, di silenzio, che avvince il cuore. Le
luci fioche periate dei piccoli nidi di case smarriti nel verde, le cime degli alberi nel fondo,
a sinistra, che prendon fuoco al riflesso del tramonto, come grandi bolle auree, ci mostrano

1 Anche la svolta dissclciale della stradicciola ai quella che si vede nella bruciacchiata Deposizione
piedi del poggio sulla destra del fiume è simile a del Museo Correr a Venezia.
 
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